Una volta toccato il muretto e aver svettato su Parigi, Nicolò Martinenghi è senza fiato. Stupore più che stanchezza, ma ha ancora modo di rivelare al mondo dove aveva nascosto la sua carta vincente. Sale sulle cordate della piscina, scuote la testa, caccia fuori la lingua, riscende increspando l’acqua, si toglie la cuffia e sfoggia quei capelli iridati che già facevano da presagio. Poi, ancora con occhi e bocca spalancati, fissa il tabellone dell’Acquatics Center: 59”03, è oro olimpico nei 100 metri rana.
Quella sensazione d’incredulità lo accompagna anche fuori dalla vasca. «Non so cosa dire», spiega a stento ai microfoni di Eurosport. E pensare che di solito è lui il più chiacchierone e giocoso della squadra azzurra: dietro gli occhialini di Nicolò c’è pur sempre “Tete”, soprannome d’infanzia affibbiatogli dal fratello Jacopo. Ma anche il Martinenghi bambino, diventato ora il più grande di tutti, resta attonito. «Posso dire che so cogliere le occasioni giuste. L’ho dimostrato negli anni. Oggi non avevo niente da perdere». Solo questo, poi si scusa: «Non ho parole. Sarà un’intervista in bianco», un po’ come quella coccia, come direbbero dalle sue parti nel varesino, che ha fatto la differenza.
Prima di toccarlo, l’oro era già lì nella sua testa. Aveva bisogno del carattere per vincere. Lo ha profetizzato e si è tinto i capelli di un platino che nella prima grande notte italiana di Parigi risplende come la medaglia più importante della sua vita. Solo pochi giorni dopo il folle cambio di look si è così tuffato in corsia 7 per la finale olimpica.
Dai metri successivi alla partenza sembra staccato rispetto al trio composto da Adam Peaty, Nic Fink e Qin Haiyang. Il primo detentore di tutti i record della specialità, in corsa per una tripletta olimpica mai vista nella storia della rana, gli altri due vincitori – insieme – di dieci ori mondiali. Al passaggio dei 50 metri Martinenghi aggancia l’americano e l’inglese, con una bracciata così ampia e sciolta da azzerare i tre decimi di differenza. Veleggia con la testa leggermente più indietro fino agli ultimi quindici metri, poi li brucia nell’acqua di due centesimi e li costringe all’argento condiviso (59”05). In Francia direbbero che non è la loro festa: «Pas de fête», sì, perché passa Tete.
Era stato campione mondiale nel 2022. Ora è olimpico, generazionale come Domenico Fioravanti e i suoi due ori nella rana a Sydney 2000, quando alla virata del primo anno di vita Tete ancora si apprestava a togliere i braccioli. Con lui Martinenghi adesso condivide specialità, un posto nel firmamento azzurro e quel paio di orecchini che lo fanno brillare in vasca anche quando i capelli sono coperti dalla cuffia. Il suo segreto, d’altronde, era nascosto lì sotto fin dall’inizio.