Come brillano insieme bronzo e marmo. Soprattutto se a farli incontrare non è una statua, ma un tennista in carne, ossa e sangue azzurro. A Lorenzo Musetti da Carrara, patria della bianca roccia calcarea, è sempre piaciuto più dipingere con la racchetta che scolpire. Ma la medaglia olimpica che porterà in trionfo da Parigi verso la Toscana rappresenta l’apice di una sua nuova fase artistica, in cui all’estro ha imparato ad abbinare cura, pazienza e quella ricerca per il dettaglio da trovare a colpi di scalpello. «Mi avrebbe distrutto tornare a casa a mani vuote», ha detto sfinito dopo il terzo set decisivo nella finale 3° e 4° posto con il canadese Felix Auger-Aliassime (6-4, 1-6, 6-3). E invece rientrerà dopo aver portato tra le braccia l’Italtennis fino al gradino più basso del podio olimpico, a distanza di cent’anni dall’ultima volta.
Cent’anni di solitudine
Il nome da incidere nella storia azzurra cambia ancora nel ’24, ma di un altro secolo: allora a trionfare nella finalina fu Uberto De Morpurgo, aviatore austro-ungarico di Trieste e naturalizzato italiano dopo la Prima Guerra Mondiale. Il filo rosso(blu) è sempre la Francia. Hubert – questo il nome da barone tedesco – vinse contro Jean Borotra, passato alla storia come uno dei Quattro Moschettieri insieme a Jacques Brugnon, Henri Cochet e René Lacoste. Si giocava a Colombes e non a Porte d’Auteuil, perché gli Internazionali parigini sarebbero stati dedicati solo nel 1928 a un altro aviatore, Roland Garros, abbattuto e ucciso poco meno di cinque anni prima.
Proprio quei campi dell’Open di Francia, il Philippe Chatrier e il Suzanne Lenglen, testimoni della storia del tennis, hanno rappresentato per Musetti il monte olimpico da scalare. Il 22enne carrarino si è presentato ai suoi piedi con le spalle larghe ma pesanti. Intorno alle 23:00 di sabato 27 luglio a Umag, in Croazia, perdeva la finale contro Francisco Cerundolo. Alle 16:50 del giorno dopo iniziavano i suoi Giochi contro il padrone di casa Gael Monfils, senza soluzione di continuità e possibilità di riposare. Ha superato avversari come l’ex top 10 Taylor Fritz e Alexander Zverev, numero 4 del mondo. A due passi dalla vetta si è fermato solo davanti alla leggenda serba Novak Djokovic e ha cacciato giù Auger-Aliassime, sceso in campo per la finalina dopo aver già agguantato la medaglia di bronzo nel doppio misto. Una vittoria raggiunta dopo un primo set sbrigato in 49′, le insicurezze del secondo e un finale in cui la stanchezza ha fatto venire meno le magie di Musetti. «È stata una faticaccia, non ce la facevo più, ho pensato che fosse finita». Sì, ma al meglio, perché è riuscito a compensare con la testa e i piedi ben piantati a terra. Una statua in bronzo dalla base di marmo. D’altronde, questa volta sul terzo picco della montagna c’era spazio per una sola persona.
I volti di Musetti
Lo hanno chiamato “Muso”, poi “Aladino” e “Lorenzo il Magnifico”, a testimonianza dei suoi impulsi creativi, seppur sia nato qualche chilometro più a nord della Firenze che diede vita ai De’ Medici. La sua valigetta artistica da tennista è sempre stata fornita di ogni attrezzo: rovesci a una mano vintage, palle corte, lob, diritti a sventaglio e tutti i colpi immaginabili – e non -, geniali e brillanti ma spesso poco concreti, a tal punto da portarlo a soffrire con gli avversari più imponenti sul piano fisico. «Sono fatto così, so che il mio tennis e il modo di stare in campo sono divisivi, li ami o non li sopporti», ha ribadito anche dopo la vittoria della medaglia. In pratica, tanti colori senza un disegno di fondo. Forse ne mancava solo uno: «La maglia azzurra mi ha aiutato a superare i miei limiti». Ormai il campo non poteva più essere una tela su cui lasciare schizzi istintivi. Ha dovuto aggiungere l’attitudine da scultore per riuscire a costruire qualcosa «di più solido». Di bronzo olimpico.
Dopo il tour de force tra i vari tornei (finale al Queen’s, semifinale a Wimbledon, finale a Umag, 3° e 4° posto a Parigi), per Lorenzo è arrivato il momento di tornare dalla compagna Veronica e dal piccolo Ludovico, nato lo scorso marzo. È stato proprio il suo arrivo in famiglia a dare un’altra direzione alla carriera del neo-papà («Grazie a lui mi sono ritrovato»), che ha raggiunto la posizione n.15 del ranking mondiale, punto di ripartenza dopo le Olimpiadi. Una nuova aria nella vita di ogni giorno e nel circuito tennistico, dove Lorenzo libra finalmente senza alcun peso. Con due sole eccezioni: una medaglia di bronzo e un Muso di marmo.