Esclusiva

Dicembre 8 2024.
 
Ultimo aggiornamento: Dicembre 17 2024
Israele risponde alla caduta di Assad

I ribelli siriani hanno messo fine ai 24 anni di governo autoritario conquistando Damasco

Damasco, la capitale della Siria simbolo del potere del regime, è caduta sotto il controllo delle forze ribelli. Le milizie guidate dal gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham (HTS), hanno preso il controllo della capitale nella notte tra sabato e domenica, segnando la fine del regime di Bashar al-Assad. La notizia è stata confermata dall’improvvisa fuga del presidente, che ha lasciato la città a bordo di un volo verso una destinazione sconosciuta che, secondo diverse fonti, potrebbe essere in Russia.

La ritirata di Assad è stata precipitosa: le milizie dell’opposizione, guidate dal leader jihadista Abu Mohammed al-Golani, sono entrate nella capitale dopo aver travolto le difese del regime. Secondo fonti locali, la coalizione ribelle ha incontrato poca resistenza, consolidando rapidamente la propria posizione.

La svolta nel paese arriva appena due settimane dopo l’inizio di una massiccia offensiva partita dal nord-ovest del Paese. Con un attacco a sorpresa, il 27 Novembre gli insorti hanno prima conquistato Aleppo, seconda città della Siria, e poi avanzato rapidamente verso Homs e Damasco. Il gruppo Hayat Tahrir al-Sham, affiancato da un’alleanza di milizie appoggiate dalla Turchia, è così riuscito a sfruttare la debolezza dell’esercito governativo di Assad. Il presidente, ora in fuga, aveva ereditato dal padre Hafez la guida del paese, seguendone la stessa linea contraddistinta dal pugno di ferro e da una struttura politica controllata e repressiva, dove l’opposizione non era tollerata. Nel 2011 Assad aveva infatti represso con violenza le proteste pacifiche contro il suo regime, sfociate poi in una guerra civile con più di mezzo milione di persone uccise e altri sei milioni di rifugiati.

La presa di potere e la conquista di Damasco da parte dell’opposizione del regime è avvenuta grazie a un contesto di crisi per i principali alleati di Assad. Da un lato la Russia, distratta dalla guerra in Ucraina, ha ridotto la sua presenza in Siria, mentre l’Iran ha visto le sue forze indebolite dagli attacchi israeliani. Nel frattempo, le truppe di Hezbollah, sostenitrici di Assad, sono state duramente colpite negli ultimi mesi, lasciando scoperto il fianco sud del regime siriano.

Mentre il presidente Assad è in fuga, il primo ministro Mohammed Ghazi Jalali, rimasto nel paese, ha dichiarato la sua disponibilità a una transizione pacifica, mentre il leader di HTS, Abu Mohammed al-Jolani, ha vietato atti di vendetta o festeggiamenti armati, ordinando di preservare l’ordine nelle istituzioni statali. 

La reazione di Israele in Siria

A livello internazionale, la caduta di Assad rappresenta un grande cambiamento negli equilibri geopolitici del Medio Oriente. Per Russia e Iran, significa la perdita di un alleato cruciale, mentre Israele vede un nuovo avversario prendere il posto della dittatura siriana, che per quanto ostile non costituiva una minaccia per lo Stato ebraico.

La reazione di Tel Aviv contro gli islamisti sunniti è stata militare: attraverso le alture del Golan, occupate dall’esercito israeliano dal 1967, l’Israel Defense Force è avanzata nella zona cuscinetto presidiata dall’Onu. Secondo la tv libanese al-Mayadeen, i tank si sono posizionati nella zona di Qatan, a circa venti chilometri a sud di Damasco. Secondo fonti locali le forze israeliane avrebbero occupato otto località alla periferia della capitale. Il governo di Benjamin Netanyahu afferma che l’occupazione sarà temporanea.

Dalla caduta del regime, l’aviazione di Tel Aviv ha lanciato 310 attacchi sul territorio dello Stato confinante, come riportato dall’Osservatorio siriano per i diritti umani. L’obiettivo è distruggere la tecnologia militare presente nel Paese prima che i ribelli ne entrino in possesso, per impedire che venga impiegata contro Israele. La strategia è bombardare aeroporti, radar, depositi di armi e munizioni, centri di ricerca militare e navi della marina siriana.

Si apre così un nuovo fronte, che interrompe i festeggiamenti per la fine del regime. Per i milioni di siriani sfollati o esiliati dopo 13 anni di conflitto, è l’alba di un nuovo, seppur incerto, inizio.