«Le persone esistono e dobbiamo parlare di loro, ma con grande rispetto. Dargli un nome e riuscire a riportare i nostri lettori in una dimensione umana dei fatti». Apre con queste parole Valerio Cataldi, presidente uscente di Carta di Roma, la presentazione del XII Rapporto della stessa associazione a Palazzo Grazioli.
Mostrare un’alternativa di metodo e di linguaggio alla solita dialettica del fenomeno della migrazione sono due degli obiettivi dell’evento. Una giornata di formazione per giornaliste e giornalisti. È importante parlare nel modo corretto di persone migranti, ma prima di tutto è fondamentale che queste abbiano uno spazio all’interno del dibattito pubblico.
I dati però non sono positivi.
Nell’ultimo anno c’è stata una netta discesa dell’attenzione mediatica sul tema delle migrazioni. Un calo del 41% da gennaio a novembre sulle prime pagine dei quotidiani e nei telegiornali di prime time rispetto al 2023. Sono stati 4.511 i titoli sulle migrazioni scritti dalla stampa italiana, meno del 34% rispetto all’anno precedente, con Avvenire che registra 254 articoli in prima pagina e 870 titoli totali, una media di 2,9 al giorno. L’interesse per gli arrivi via mare tramite titoli rimane bassa e oscilla al verificarsi di eventi mediatici particolati. A giugno due grandi sbarchi e la morte del bracciante indiano a Latina Satnam Singh, e poi in autunno il decreto flussi e il centro d’accoglienza costruito in Albania. Solo nel 7% dei servizi dei tg si sente la voce diretta dei protagonisti delle migrazioni. La narrazione proposta ai lettori e al pubblico si basa su una “emergenza” o “crisi”, “invasione” e “allarme” migratorio. Un linguaggio allarmistico che a partire dal 2013 fino a oggi ha registrato 5.728 casi, nell’ultimo anno però si ha una leggera diminuzione.
«Il monito è di stare alla larga il più possibile lontani da ciò che la politica vorrebbe che noi dicessimo, perché – sottolinea il presidente – i meccanismi della propaganda non sono quelli del giornalismo». L’invito è di preservare l’indipendenza dell’informazione. Una riflessione che si intreccia con i temi al centro del Rapporto, dove emerge un dato: la parola di quest’anno è Albania, simbolo degli accordi con Tirana.
Le migrazioni continuano a essere terreno di battaglia politica, con narrazioni che polarizzano, con un linguaggio spesso rigido, capace di esasperare le differenze. Non è un caso che ben il 26% delle notizie in materia riporti dichiarazioni di esponenti politici, un segnale dell’ingerenza della politica nel racconto mediatico. Un quadro che invita a riflettere sul ruolo dell’informazione, stretta tra la cronaca dei fatti e le pressioni politiche, con l’obiettivo di restituire ai cittadini una narrazione più equilibrata e aderente alla realtà.
Se da una parte si ha un crollo dell’uso di termini denigratori come “extracomunitario”, “vu cumprà”, “zingaro” o “nomade”. Dall’altra il 48% delle notizie si concentra sugli aspetti negativi dell’accoglienza, sottolineando criticità e problemi. Solo il 32% dà spazio a storie positive, mentre nel 20% dei casi si presenta una visione mista.
«Fare una costante ricerca della verità sostanziale dei fatti è ciò che siamo chiamati a fare costantemente», conclude il presidente.