Non solo i partiti che fanno opposizione ma anche la Corte Penale internazionale ha chiesto spiegazioni al governo italiano per aver liberato Najeem Osema Elmasry Habish, detto Almasri, «senza preavviso o consultazione». Il comandante della polizia giudiziaria libica, accusato dalla Cpi di «crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nella prigione di Mitiga, puniti con la pena massimo dell’ergastolo», è stato arrestato a Torino domenica 19 gennaio e rilasciato tre giorni dopo.
In una nota pubblicata il 22 gennaio la Corte dell’Aia ha chiarito di essersi «impegnata con le autorità italiane per garantire l’attuazione del mandato di cattura, offrendo il suo aiuto nel caso in cui l’Italia individuasse dei problemi» e ha aggiunto di aver «chiesto una verifica da parte delle autorità italiane sui passi che sarebbero stati compiuti». Ma non ha ricevuto risposta. Così sebbene gli Stati parte della Cpi siano obbligati ad eseguire i suoi mandati d’arresto, l’Italia non l’ha fatto per un errore di procedura: perché «l’arresto non è stato preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale», ha chiarito la Corte d’Appello di Roma in un’ordinanza.
Almasri non è solo il comandante della polizia giudiziaria, ma anche capo del centro di detenzione di Mitiga, a Tripoli, in Libia dove vengono richiusi anche molti dei migranti intercettati in mare. «Un vero e proprio lager», spiega a Zeta Luca Faenzi, capo ufficio stampa dell’ong Sea Watch, che conduce attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale: «Ci chiediamo cosa il governo temeva potesse rivelare Almasri al punto di liberarlo in fretta e in furia – continua Faenzi – e mettergli a disposizione un aereo di stato».
Ma non solo. Per Faenzi dovrebbe essere chiarito anche perché un uomo su cui pende un mandato d’arresto della Corte penale internazionale si sentisse talmente al sicuro in Italia da muoversi liberamente per Torino: «Se è andato a vedere una partita di calcio nei giorni in cui si trovava nel capoluogo piemontese vuol dire che non si nascondeva. Dobbiamo capire a questo punto perché si sentisse così sicuro e tranquillo e se avesse avuto garanzie o meno».
A insospettire chi segue il caso sono soprattutto gli ottimi rapporti tra Tripoli e il governo Meloni. La presidente del Consiglio si è recata nel paese africano tre volte solo nel 2024 e gli accordi con la guardia costiera libica per fermare i flussi di migranti sono stati rinnovati nel 2023, «una vergogna per il nostro paese», commenta Faenzi. Ma c’è anche il fatto che fino a quando il giornalista Nello Scavo non ha fatto uscire un articolo su Avvenire, il 22 gennaio, per dare la notizia, dell’arresto di Almasri non si sapeva nulla. Solo più tardi, nel corso della giornata, il ministero della Giustizia ha confermato l’arresto facendo subito trapelare l’incertezza: «Considerato il complesso carteggio, il ministro sta valutando la trasmissione formale della richiesta della Cpi al Procuratore generale di Roma», si legge nella nota. E infatti poche ore dopo Almasri è stato rilasciato.