«L’Intelligenza artificiale (IA) è capace di alterare la percezione delle persone, è esente dalla responsabilità degli altri mezzi editoriali e appartiene a pochissimi soggetti» dice, ospite nella redazione di Zeta, Padre Paolo Benanti, presidente della Commissione AI per l’informazione. Il teologo francescano, succeduto all’ex presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato, è inoltre consigliere di Papa Francesco sui temi dell’intelligenza artificiale e dell’etica e della tecnologia ed è l’unico italiano membro del Comitato sull’IA delle Nazioni Unite.
Fin da quando l’essere umano è comparso sulla Terra, ogni innovazione che ha prodotto aveva lo scopo di rendere una specifica operazione sempre più efficiente, secondo lo schema dello special purpose. Ma dalla seconda rivoluzione industriale in poi, l’uomo ha inventato strumenti versatili, adatti a diversi impieghi (general purpose) e capaci di «cambiare il modo di fare le cose», spiega Benanti che ricorda come «ogni volta che una tecnologia è rilasciata in un contesto sociale, questa funziona come una forma d’ordine o una disposizione di potere».
Nel corso del tempo è quindi cambiata la relazione di possesso tra la persona e l’oggetto: nell’antica Roma il cittadino aveva tre diritti (usus, abusus, fructus). Di questi, oggi è rimasto integro solo il cattivo utilizzo della cosa: l’uso, infatti, varia a seconda del modello che possiedi, ma non possiamo più godere dei frutti che ne derivano perché tutto ciò che produciamo non è nostro, ma di qualcun altro. Per spiegare il concetto, Benanti fa un esempio con il mondo del giornalismo: «Non puoi restare in controllo dell’articolo che hai scritto perché se lo pubblichi online, dopo poco tempo è di proprietà di tutti». In questo modo, che sia il cellulare, la macchina o un prodotto giornalistico niente è più in mano all’hardware: è tutto sotto il controllo dei software.
Fino al 2010 si pensava che la tecnologia portasse solo benefici, ma dopo quella data si sono succeduti avvenimenti che hanno minato questa certezza. L’evento culminante è stato l’assalto di migliaia di sostenitori repubblicani, istigati dell’attuale presidente degli Stati Uniti Donald Trump, al Congresso a Capitol Hill il 6 gennaio 2021. «Questo è un passaggio epocale da una fase da sogno a una in cui si è visto l’esatto contrario: tra fake news e rivolte, è sempre più forte l’interesse di plasmare l’opinione pubblica».
Il problema che si pone quindi riguarda la regolamentazione del mondo digitale e soprattutto dell’IA, ed è per questo che è nato in Europa l’AI Act, il primo quadro giuridico che affronta i rischi legati all’intelligenza artificiale. Ma all’interno della norma europea non è listata nessuna tecnologia, perché la legge è focalizzata sull’impossibilità di utilizzare i dati per discriminare qualcuno. Padre Benanti racconta come gli ebrei perseguitati in Italia sotto il nazifascismo furono il 23 per cento del totale, in Francia il 26, mentre in Olanda il 75 per cento proprio perché era l’unico Paese ad avere un database centralizzato: «Noi veniamo da una storia in cui le persone erano classificate e discriminate».
Davanti alle sfide dell’IA si può agire in due modi: o si permette che i sistemi di questi tipo vengano rilasciati all’interno di un contesto pubblico senza controllo «oppure pretendiamo che siano in qualche misura corrispondenti a dei guardrail etici che mettiamo in atto per evitare che vadano fuori strada: l’IA va addestrata». La vera domanda non riguarda la macchina, ma l’uomo perché il corretto funzionamento dello strumento dipende «più che dalla l’intelligenza artificiale dalla stupidità naturale, cioè da come sapremo interrogarci e gestire l’innovazione per farla diventare autentica forma di sviluppo».