Al collo una sciarpa nerazzurra con scritto ‘Ultras’, in mano un cartellino rosso. Sabato 22 febbraio 2025 allo stadio Romeo Anconetani, per la partita di Serie B del Pisa contro la Juve Stabia, c’era anche Handala, il bambino palestinese sempre rivolto di spalle creato dal fumettista Naji al-Ali. Con questa coreografia i gruppi organizzati della Curva Nord hanno aderito alla campagna “Red card for Israel”, con cui si chiede alla Fifa di espellere o sospendere la Federcalcio israeliana dalle competizioni internazionali. Domenica 23 a loro si sono uniti anche i Desperados dell’Empoli durante la partita di Serie A contro l’Atalanta, con uno striscione e una schiera di cartoncini rossi.

«In realtà è una vecchia campagna del presidente della Federcalcio palestinese», spiega Nicola Sbetti, storico dello sport dell’Università di Bologna, «serve a cercare di creare un terreno comune per sensibilizzare il mondo del calcio, in particolare presidenti delle federazioni e anche giocatori». Nelle ultime tre settimane, a partire dal Celtic Park di Glasgow, striscioni con le parole d’ordine “Show Israel the red card” o “Kick genocide out of football” sono comparsi negli stadi di Scozia, Spagna, Irlanda, Cile, Turchia, Indonesia e altri paesi. Avevano già aderito anche altre tifoserie italiane nelle categorie inferiori, ma con Pisa ed Empoli la campagna raggiunge un altro livello comunicativo.

Sotto Handala, nella curva del Pisa, c’è anche uno striscione. Rimanda all’articolo 4 dello statuto Fifa del 2021, che prevede la sospensione o l’espulsione per i casi di discriminazione di qualunque genere. La stessa motivazione che nel 1961 portò alla sospensione del Sudafrica dell’apartheid che durò fino al 1992.
«A prescindere da quell’articolo i presupposti giuridici per la sospensione di Israele ci sono e da tempo», commenta Sbetti. «Con un’applicazione molto rigida anche da prima dell’invasione di Gaza», in cui si stima che siano morti 353 calciatori. «Ad esempio, la federazione israeliana ammette squadre che vengono dai territori palestinesi occupati». La Palestina non ha ancora uno status pienamente riconosciuto all’Onu, ma la sua federazione calcistica è un membro ufficiale della Fifa.

«È sul piano politico che non ci sono i presupposti per una sospensione», continua Sbetti. Il tema era stato sollevato anche in chiave olimpica con l’avvicinarsi di Parigi 2024. Le organizzazioni internazionali sportive erano state accusate di «doppio standard» nei confronti di Israele e Russia, i cui atleti sono stati esclusi dai giochi. «Al momento delle sanzioni Fifa del 2022 alla federazione russa c’era la coalizione guidata dall’Ucraina e suoi alleati che premeva. Per Israele questa pressione su Uefa e Fifa non c’è».
Sono remote anche le possibilità di boicottaggi nelle competizioni, come invece avvenne negli anni Cinquanta e Sessanta. La Federcalcio israeliana inizialmente entrò nella confederazione asiatica, ma la pressione politica dei Paesi arabi e musulmani portò alla sua espulsione nel 1974. Dopo vent’anni da “indipendente”, la nazionale dello Stato ebraico entrò a far parte della Uefa.
Oggi il rischio che si possa riprodurre una situazione simile non c’è e la Fifa prova a mantenersi stretta la sua universalità. Senza rischi concreti per lo svolgimento delle competizioni, il presidente Gianni Infantino può continuare a tenere la sua posizione: «Lui sceglie di non decidere», puntualizza Nicola Sbetti. «Se decidesse in favore delle richieste palestinesi si troverebbe contro Israele e i suoi alleati, che lancerebbero una campagna di boicottaggio. Ma se dovesse ufficialmente respingere queste istanze, si inimicherebbe buona parte del mondo arabo, che è una fetta importante del suo elettorato».