Esclusiva

Marzo 1 2025
Harry’s Bar, l’icona della Dolce Vita dal 1960

Un tuffo tra le origini del locale leggendario di Via Veneto a Roma, che ha ospitato Frank Sinatra e continua a essere meta ambita delle celebrità romane e internazionali

Un posto d’altri tempi che rievoca gli anni Cinquanta e Sessanta della Roma mondana. Un luogo sospeso tra musica jazz, abitudini spensierate e tavolini rotondi con sopra sigarette spente ancora fumanti. Se si chiudono gli occhi per un attimo, sembra di sentire in lontananza la voce dell’attrice Anita Ekberg che invita il suo corteggiatore a seguirla nell’acqua della Fontana di Trevi con la celebre frase: «Marcello, come here!». Via Veneto e l’Harry’s Bar hanno fatto da sfondo al film La dolce vita diretto da Federico Fellini nel 1960, ma ancora oggi continuano ad attirare turisti da tutto il mondo.

«È stato lui, il maestro Fellini, a donare un’aura magica a questa strada e al locale. Li ha resi famosi. Non c’è un riconoscimento tangibile per tutto ciò che ha fatto. Ma un regista come lui, che ha dato così tanto a Via Veneto nonostante venisse da Rimini e non da Roma, meriterebbe qualcosa di veramente importante», dice Pietro Lepore, proprietario dell’Harry’s Bar.

E aggiunge sorridendo: «Io ho vissuto i momenti successivi alla Dolce Vita, gli strascichi. Le persone erano più serene, avevano meno problemi. Senza i cellulari, erano costrette a conversare tra di loro. Questo posto è sempre stato un luogo d’incontro, più che un semplice ristorante. Qui si veniva e si viene tutt’oggi per stare in compagnia, bere qualcosa e, se si vuole, anche mangiare».

All’inizio, il locale – costruito più di cento anni fa – si chiamava Golden Gate ed era una pasticceria e sala da tè. Con il tempo, si è trasformato in uno dei cocktail bar più famosi della capitale: «Il rinnovamento più grande è avvenuto nel 1962, con il primo ampliamento e il cambio del nome con quello attuale. Poi nel 1986, ha subito un altro grande restauro, con l’aggiunta di cucine, magazzini e spogliatoi per il personale. Si è così strutturato come american bar e ristorante, mantenendo questa identità fino ad adesso».

L’ambiente, intriso di racconti e storia, è sempre stato un punto di riferimento per attori, registi, scrittori e altri esponenti dell’élite romana e internazionale. Le foto appese alle pareti trasudano ricordi e immortalano i volti delle celebrità che hanno frequentato l’Harry’s Bar nel corso degli anni. Alla richiesta di menzionare qualche vip, lui risponde: «Devo fare dei nomi? Sarebbe un po’ ingiusto citare solo alcuni dei personaggi passati da qui, perché sono davvero tanti. Posso dire che uno degli ultimi è stato l’attore Gérard Depardieu, che però ha lasciato un brutto ricordo per via di una rissa con il fotografo Rino Barillari, finita su tutti i giornali. Scene così non si vedevano da quarant’anni!», ricorda Lepore.

Nonostante lo scorrere del tempo, si respira ancora la stessa atmosfera di quando il cantante Frank Sinatra suonava il pianoforte intonando una musica jazz: «Io all’epoca non c’ero, però posso dire che sono bei ricordi, inestimabili. Sono quelle cose che accadono all’improvviso, senza un motivo apparente. Un esempio simile, più recente, è quando Fiorello venne qui a mangiare con la moglie Susanna Biondo, subito dopo aver terminato la sua prima conduzione del Festival di Sanremo con Amadeus, nel 2020. Ovviamente lo convincemmo a cantare. Lui è una persona sempre disponibile, che sa gestire il pubblico. Anche quando vuole stare tranquillo riesce a far emergere il suo charme».

Il bar si è adattato ai tempi moderni, cercando di preservare il fascino del passato. L’importante è non dimenticarsi le proprie origini, soprattutto in ambito culinario: «Abbiamo mantenuto alcune pietanze storiche nel menù. Uno di questi è il riso al salto, di origine milanese, preparato con zafferano, ripassato in padella e servito con un ristretto di carne, parmigiano e olio. Poi c’è l’insalata di astice, che è un piatto molto scenografico: il crostaceo viene cotto a vapore, sgusciato completamente e ricomposto su un letto di valeriana con limone, olio e altri ingredienti. Quando i clienti lo vedono rimangono sorpresi, perché si aspettano di doversi sporcare le mani, invece lo trovano già pronto per essere gustato. Insomma, anche l’occhio vuole la sua parte», conclude il proprietario.

Questo periodo non smette di destare stupore e suscitare la curiosità dei più nottambuli, per cui questa zona della capitale resta l’esempio della “bella vita” per antonomasia. Durante quei giorni – giunta la notte – la luna illuminava le strade, la città si accendeva e le persone sentivano di poter essere chiunque anche solo per qualche ora, per poi tornare alla routine di tutti i giorni la mattina seguente. Aveva ragione Sinatra quando cantava: «I’ve been a puppet, a pauper, a pirate, a poet, a pawn and a king/I’ve been up and down and over and out/And I know one thing/Each time I find myself flat on my face/I pick myself up and get back in the race/That’s life». («Sono stato un burattino, un poveraccio, un pirata, un poeta, una pedina e un re/Sono stato su e giù e sopra e fuori/E so una cosa/Ogni volta che mi ritrovo a terra/Mi rialzo e torno di nuovo nella corsa/Questa è la vita»).