I dazi promessi dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sono arrivati. Mercoledì 12 marzo sono entrati in vigore e adesso l’acciaio e l’alluminio europei costeranno il 25 per cento in più agli Usa, disincentivando la loro importazione. In tutto un danno da 26 miliardi di euro, ossia circa il 5 per cento delle esportazioni totali dei beni verso gli Usa, perché le tariffe colpiscono anche i prodotti derivati. La misura colpisce duramente l’Unione che è specialmente ricca di acciaio. Nel 2023 ne ha esportate quasi 17 milioni di tonnellate. Materiale che è persino alla base anche della sua stessa fondazione, con la Comunità economica del carbone e dell’acciaio (Ceca).
Per questo la Commissione europea ha reagito annunciando specifiche contromisure, che entreranno in vigore da aprile. La reazione si articola in due fasi. Il primo aprile l’Unione europea non rinnoverà la sospensione delle contromisure che aveva già preso durante la prima amministrazione Trump nel 2016 (in quel periodo il presidente statunitense aveva applicato dazi del 25% sull’acciaio e 10% sull’alluminio). La seconda fase partirà invece da metà aprile: un pacchetto di nuovi tassi sulle esportazioni statunitensi.
Per l’eurodeputato Massimiliano Salini di Forza Italia e vicepresidente del gruppo dei Popolari a Strasburgo «è assolutamente inaccettabile che si inizi una guerra di dazi reciproci». Il motivo è economico ma anche storico per l’eurodeputato: «La presenza sui mercati globali si fonda sulla capacità di fare accordi economici forti e l’accordo per eccellenza per noi, oggi messo molto in discussione è il rapporto tra il vecchio continente, cioè l’Europa e gli Stati Uniti. Per questo è assolutamente inaccettabile che si inizi una battaglia di dazi reciproci».
In realtà per Salini non è solo inaccettabile, ma anche insostenibile, in primo luogo per Washington: «I dazi portano inflazione in casa proprio, quindi del tasso di interesse e perciò un aumento del costo del debito e per gli Usa che hanno un rapporto debito/Pil del 120 per cento i dazi sono un lusso che non ci si può permettere».
La concorrenza cinese
La risposta di Trump alle contromisure europee, però, non si è fatta attendere: «Dazi anche sulle automobili». Il settore dell’automotive europeo sta già vivendo una grandissima crisi che le tariffe sulle esportazioni non potranno che aumentare. La Commissione ha presentato mercoledì il nuovo piano d’azione per fronteggiare la depressione economica. Questo si basa su cinque pilastri: innovazione e digitalizzazione, mobilità pulita, competitività e resilienza della catena di approvvigionamento, competenze e dimensione sociale e infine garanzia di accesso al mercato per i produttori europei in condizione di parità.
Bisogna puntare sulle batterie «a cui saranno destinati 3 miliardi in tutto dai fondi Invest Eu e Innovation» ha detto il commissario ai trasporti Apostolos Tzitikostas. Saranno poi mobilitati soldi dal «Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione per ridurre il rischio di licenziamenti e verranno proposti dei leasing per i cittadini meno abbienti per comprare auto elettriche». Inoltre, ha aggiunto Tzitikostas «un miliardo dal fondo Horizon andrà ai veicoli autonomi e connessi», segmento in cui secondo il commissario «serve una leadership europea, considerando soprattutto che Cina e Stati Uniti sono più avanti con i test su strada».
La concorrenza Pechino è uno dei motivi principali della crisi dell’auto. Il dragone, infatti, impatta nel settore su due canali principali. Innanzitutto, è diminuita la capacità di acquisto del paese asiatico a causa di un rallentamento nella crescita. L’automotive europeo, aveva puntato molto sulla penetrazione in quel mercato, specialmente quello tedesco con, ad esempio, i 39 impianti che la Volkswagen aveva dislocato in territorio cinese, ma la sua domanda di auto è crollata in breve tempo dai 4 milioni ai 2,5 milioni.
L’altro canale è la concorrenza esterna che Pechino fa nei confronti delle nostre auto, aggredendo sia il mercato europeo che quello straniero nelle economie emergenti riducendo ancora di più lo spazio per l’Ue. Secondo il Fondo monetario internazionale, infatti, la Cina ha triplicato le sue esportazioni in America Latina superando l’Unione europea per volume. E secondo un rapporto di Alixpartner Pechino controllerà il 33 per cento della domanda globale dell’auto entro il 2030. «I produttori europei si scontrano con quelli cinesi che hanno una capacità tecnica molto elevata – ha aggiunto Salini – ma questi riescono però ad applicare dei prezzi troppo bassi per noi perché non rispettano molte regole del gioco». È il cosiddetto dumping cinese, ossia mettere i proprio prodotti sul mercato a prezzi stracciati, anche sotto il costo di produzione per mettere fuori mercato la concorrenza.
La crisi dell’auto
Ma nel settore dell’auto sono diversi i fattori che si sono intrecciati e che hanno portato alla crisi. E quindi se da un lato arranchiamo per colpa della concorrenza con Pechino, Paola Scuderi, membro dei Verdi ha ricordato che la crisi è anche frutto «della mancanza di strategie industriali in tutti i paesi membri, mentre all’estero gli altri stati hanno provveduto e adesso non hanno più bisogno dei produttori europei».
La situazione è peggiorata con «i prezzi dell’energia molto alti, dopo la guerra in Ucraina», ma per Scuderi la colpa di questa crisi ricade anche sulle stesse case automobilistiche che «per tanto tempo hanno deciso di massimizzare i profitti investendo poco sull’innovazione, ma soprattutto puntando su veicoli di alta gamma che danno più guadagni, ma che poi in un momento di crisi socio-economica nessuno si può più permettere». La spinta allora deve essere il Green Deal per l’eurodeputata Verde, nel cui quadro il suo partito è riuscito a conquistare il target net zero fissato per il 2035, in cui non saranno più venduti veicoli a combustione, un obiettivo che «deve essere un incentivo a migliorarsi e non una spinta verso il basso».
In effetti, i partiti di destra si sono dimostrati tutti contrari al target e hanno accolto con favore la revisione di quest’ultimo indicatore presente nel nuovo piano per il futuro dell’automotive della Commissione. Il testo «non è completamente soddisfacente, ma qualcosa è accaduto – ha detto Salini – come la decisione di anticipare la revisione dal 2026 al 2025 per quanto riguarda il regolamento sui veicoli leggeri, cioè quello che prevede il bando al 2035 per il motore endotermico».
Lo scontro sul piano per il futuro dell’Automotive
Anche da Fratelli d’Italia arriva la critica nei confronti del piano. Carlo Fidanza, che in Europa fa parte dei conservatori (Ecr), ha detto in una conferenza stampa a margine della plenaria «Questo piano è un’occasione persa, noi ci aspettavamo che fosse preso in considerazione il progetto presentato dal nostro ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, invece non c’è un minimo riferimento alla neutralità tecnologica». È questo il punto su cui concordano tutti i gruppi di destra all’Eurocamera, ossia che la transizione si può ottenere attraverso un mix di tecnologie di cui disporre di volta in volta in base alla loro efficacia, andando contro, quindi, la scelta dell’Unione di puntare solo sull’elettrico. Scelta che Salini ha definito «dirigistica». «Io penso che il motore elettrico batterà quello endotermico e va benissimo – ha aggiunto Salini – ma i tempi e i modi in cui questo deve accadere lo decide il mercato lasciato nelle condizioni di operare liberamente con pochi standard fissati».
Per Scuderi però la neutralità tecnologica ha poco senso: «È difficile trovare qualcosa migliore dell’elettrico sia in termini di emissioni, che in termini di efficienza, che per l’elettrico è di oltre il 90 per cento, rispetto all’endotermico che è sul 30-40 per cento» e vuol dire anche più inquinamento: «C’è una lobby molto forte specialmente in Italia, quella del biocarburante, che ha un livello di emissioni bassissimo, perché vengono da materiali biodegradabili, ma che ha degli impatti incredibili sulla biodiversità e sulla nostra sicurezza alimentare, perché il biocarburante si deve fare utilizzando la monocultura, sottraendo quindi sicurezza alimentare ai nostri campi». Secondo l’eurodeputata poi, «il biocarburante non è producibile su larga scala, quindi non si potrà abbandonare il motore endotermico e si continueranno a fare gli interessi anche delle lobby del petrolio».
Ma quindi cosa potrà salvare le industrie automobilistiche europee? L’elettrico richiede studio, analisi e preparazione. Servono le terre rare per le batterie e diffuse pompe di erogazione di energia per la ricarica (le colonnine). Se come dice anche lo stesso vicepresidente del Ppe, Salini, l’elettrico è il futuro allora prima si comincia a prepararsi meglio sarà. Ritardare sarebbe il vero aiuto ai cinesi che sono già migliaia di chilometri avanti a noi.