Esclusiva

Marzo 27 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Marzo 28 2025
La lotta per i diritti Lgbt in Ungheria, nel cuore dell’Europa

La storia di Szabolcs Annus, attivista serbo-ungherese che vive a Eger: «Sempre più membri della comunità Lgbtqia+ hanno cominciato a farsi sentire»

«Il declino dell’Ungheria è terribile», spiega senza mezzi termini Szabolcs Annus, un uomo di quasi 35 anni, con una vita piena di impegni e spostamenti tra tre città diverse. Annus vive a Eger, dove lavora, e studia Sociologia a Budapest. Si è trasferito in Ungheria nel 2013 dalla Serbia, Nazione di origine dei suoi genitori. Con determinazione si batte a Szeged come volontario nell’associazione Partiscum, impegnata a promuovere i diritti della comunità Lgbtqia+ in Ungheria. Un compito non semplice perché la cornice è uno Stato che, sotto la guida del primo ministro Viktor Orban, ha conosciuto una deriva autoritaria.

Il Paese situato nel cuore dell’Europa è oggi una “democrazia illiberale” in cui lo spazio per l’opposizione e il dissenso rispetto alle politiche del governo è sempre più ristretto. Sotto il profilo istituzionale i numeri suggeriscono un dominio, poiché 2/3 dei seggi in Parlamento sono occupati da esponenti di Fidesz, il partito di Orban.

L’attività di ong, giornalisti e media indipendenti è da tempo intralciata, descritta come “destabilizzante” e accusata di far parte della rete del filantropo George Soros, vittima di svariati movimenti di estrema destra. «Negli ultimi anni gli attacchi del governo e di Fidesz ci hanno resi arrabbiati e delusi. Ma ora, io e la mia comunità abbiamo cominciato ad avere paura di ciò che potrebbe accadere e di che cosa potrebbero fare per attaccarci ancora di più», dice Annus mentre si sistema gli occhiali, con espressione pensierosa, ma a tratti sorridente e speranzosa. 

Ilga Europe ha classificato il Paese al ventinovesimo posto su 49 Stati europei esaminati nel 2024, valutando leggi e politiche che impattano sui diritti Lgbtqia+. Con un punteggio del 32,53%, l’Ungheria si colora d’arancione ed è sotto di quasi venti punti percentuali rispetto al 50,61% raccolto dall’Unione europea, considerata la media tra i suoi 27 Stati membri. «Abbiamo notato come associazione che sempre più membri della comunità, che prima restavano in silenzio, hanno cominciato a farsi sentire, a prendere parte a manifestazioni», racconta Annus.

La proposta sostenuta da Fidesz di vietare il Pride per legge non ferma la volontà del trentenne: «Ci andrò anche se sono certo che sarò punito con una multa. Il governo ha parlato dell’utilizzo di una tecnologia capace di riconoscerci e trovarci, ma non credo che l’Ungheria abbia mezzi così sofisticati per farlo».

La minaccia dell’esecutivo che più l’ha spaventato risale ad alcune settimane fa ed è connessa alla sua doppia nazionalità: «Come cittadino serbo e ungherese, se fossi accusato di rovinare la società e la sovranità nazionale perché partecipo al Pride potrei esser costretto a tornare nel mio Paese di origine». È solo l’ultimo tassello della battaglia di Orban. Un emendamento del 2020 alla Costituzione riconosce solo la famiglia tradizionale, in cui «la madre è donna, il padre è uomo» e dal 2018 gli studi di genere sono banditi dalle università poiché ritenuti “ideologia”, privi di fondamenta scientifiche. La “protezione dei bambini” e della loro crescita, a partire dai banchi di scuola, è il motivo citato da Orban e dai suoi sodali per ostacolare la vendita di libri con protagoniste famiglie arcobaleno. 

Annus è però convinto che la società civile sia più aperta del governo in carica, e che ci siano molte persone che supportano e tentano di aiutare la comunità Lgbtqia+, pur non facendone parte. Per il futuro si augura l’introduzione del matrimonio tra persone dello stesso sesso e la possibilità di adozione, due conquiste possibili solo con la «distruzione di ciò che ha fatto Orban». 

Aspetta con trepidazione le elezioni della primavera 2026 in Ungheria: «Voglio vedere se le persone apriranno gli occhi, cosa faranno dopo ciò che sta accadendo». Le urne non annunciano una riconferma scontata per Orban. I sondaggi lo collocano dieci punti percentuali sotto a Tisza, partito di centrodestra guidato dall’avvocato Peter Magyar. Il controllo del premier ungherese sul sistema è radicato, ma il suo regno trema come mai prima d’ora.