Esclusiva

Maggio 5 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Maggio 15 2025
«L’uomo che gridò io sono», la profezia di John Williams

La riedizione del romanzo, uscito per la prima volta nel 1967, riflette temi attuali che vanno dal razzismo alla disinformazione e al controllo governativo

John Williams riesce a denunciare il razzismo con rabbia, ma mantenendo allo stesso tempo un tono controllato e aggraziato. La ripubblicazione del romanzo L’uomo che gridò io sono, uscito per la prima volta nel 1967, porta alla luce dei temi che sono ancora al centro del dibattito. Lo sottolinea la critica letteraria Merve Erme nell’introduzione aggiunta all’interno della nuova edizione. Non si tratta soltanto di razzismo: ci sono soprattutto la disinformazione, il controllo governativo e la marginalizzazione delle voci dissidenti. Un sistema marcio: chi possiede la verità? Chi ha il diritto di raccontare la Storia?

Emre riflette sulla figura di Max Reddick, protagonista del romanzo, come emblema dell’intellettuale precario e disilluso. Reddick, scrittore e giornalista afroamericano, affronta una società che cerca di silenziare le voci critiche e marginalizza le esperienze delle minoranze. Una rappresentazione che «rimbomba con le sfide affrontate dagli intellettuali contemporanei», spesso costretti a navigare tra idealismo e compromessi.

Emre evidenzia la prosa di Williams come un elemento distintivo dell’opera. Nella nuova traduzione, a cura di Marco Ferraris, emerge una scrittura ribelle ma comunque colta, capace di trasmettere la tensione di un uomo che cerca una voce in un mondo che vorrebbe zittirlo. Una lucidità che viene esaltata proprio perché l’autore racconta delle ansie vissute in prima persona. 

L’esperienza del protagonista è segnata dall’emarginazione nell’establishment letterario e da una crescente disillusione politica, oltre che da un tumore terminale. La sua parabola narrativa si intreccia con la scoperta del “piano King Alfred”, un progetto segreto del governo statunitense per sterminare la popolazione nera in caso di disordini civili. Sebbene fittizio, il piano divenne talmente virale da essere creduto vero anche fuori dalla finzione: fu persino citato in ambienti radicali e gruppi militanti negli anni Settanta. Una fake news che piazza il romanzo di Williams come un precursore delle narrazioni paranoiche del tardo Novecento e dei complottismi odierni.

Williams costruisce un’opera densa che attraversa le vite intellettuali nere del dopoguerra. I luoghi sono significativi. Si passa dall’Europa, fra la Francia e l’Olanda, fino ad Harlem negli Stati Uniti. Si parte dai Paesi Bassi, con un viaggio nella mente di Reddick mentre, seduto in un bar fra un drink e un altro, aspetta di rivedere la ex moglie olandese Margrit.

I flashback aiutano a ricostruire anche il rapporto che il protagonista tiene con il suo mentore Harry Ames, di cui si sono tenuti i funerali a Parigi pochi giorni prima. Proprio dalle carte dell’amico si scopre il “piano King Alfred”. Eppure, scoprire che l’esistenza di un sistema costruito ad hoc contro la comunità afroamericana, non è immediato. Il progetto governativo serve a confermare i sospetti di Reddick nati nel corso della sua carriera.

Nelle pagine precedenti, i racconti dell’autore fanno capire quanto siano difficili anche i gesti più banali. Che sia la libertà economica o, ancor di più, baciare una donna non sono scontati per la sua comunità. E comunicarlo all’esterno è il vero ostacolo. Per questo, in un’epoca in cui le questioni razziali e le disuguaglianze sociali sono ancora al centro del dibattito, L’uomo che gridò io sono si rivela un’opera di straordinaria attualità. La sua ripubblicazione non è solo un omaggio a John Williams, ma un invito a riflettere sulle dinamiche di potere, sulla costruzione delle narrazioni e sulla necessità di ascoltare le voci marginalizzate. Un romanzo che, a distanza di quasi sessant’anni, continua a gridare con forza, chiedendo di essere ascoltato.

credit photo

LEGGI ANCHE

LA NEWSLETTER DI ZETA