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Esclusiva

Febbraio 3 2020
Viaggio nella Chinatown romana svuotata dalla psicosi: “Colpa di come i media raccontano l’epidemia”

Le strade dei quartieri cinesi sono deserte nonostante sia fine settimana, i negozi vuoti, la paura del coronavirus sta bloccando le città. Cosa succede nella Capitale?

Mappa Esquilino Roma

 

«Ieri abbiamo venduto mille mascherine in cinque ore – racconta Giuseppe Longo, titolare della farmacia di Piazza Vittorio – anche se servono a poco, il virus può passare attraverso le trame del tessuto. In più coprendo la bocca non si evita il contagio, perché l’agente patogeno si trasmette come una normale influenza. Se davvero volessimo essere schermati, dovremmo andare tutti in giro vestiti come dei palombari». La maggior parte di chi acquista le mascherine sono cinesi, seguiti dagli italiani. Eppure all’Esquilino, nel cuore della chinatown romana quasi nessuno la indossa. Ce l’ha Daniele, ma è coreano ed ha il viso coperto più per cultura che per reale timore. «Non sono abituato a mostrare il volto». Racconta che negli ultimi giorni gli è capitato di sentirsi osservato oppure lasciato in disparte senza alcun motivo. «É insensata quest’ansia che spinge gli italiani ad avere paura. Io non sono neanche cinese e tanti che abitano qui non tornano in Cina ormai da mesi».

 

 

Lungo via Principe Eugenio i negozi sono vuoti. I commercianti, quasi tutti cinesi, sono seduti accanto alla cassa ad aspettare. Sono molti quelli che non hanno voglia di parlare «Non parlo la lingua, andate in un altro negozio» dicono però in italiano. «No basta per oggi, grazie» indicando l’uscita. «Sono venuti già tanti giornalisti, non abbiamo più voglia di raccontare». Cristina, si fa chiamare da tutti, non capisce quale sia il problema. «É sempre così – dice senza nessun entusiasmo – oggi piove e non siamo a Piazza di Spagna. È normale che non ci sia nessuno. Tu usciresti di casa per fare shopping in una giornata come questa? È la proprietaria del negozio Vera Plum, una boutique che spicca per classe rispetto alle altre attività della via.

 

Hang Zhou da Sonia

 

Al mercato di quartiere la situazione è simile, pochi asiatici a fare scorta di carne e pesce, una donna, sulla quarantina entra furtiva, arriva al banco del pesce, ottenuto quanto cercava, paga e si dilegua rapida, scomparendo da una delle uscite laterali. I pochi asiatici che si incontrano sono gli unici con addosso le famigerate mascherine. Pietro ha 19 anni e studia canto al conservatorio di Roma. È di Hezhou e vive in Italia da tre mesi. Alto, magro, in un lungo cappotto scuro, sta comprando la carne accompagnato dalla madre e due sorelle, che si limitano ad osservarlo da lontano, diffidenti, mentre risponde a qualche domanda: «No in realtà io non ho mai subito episodi di razzismo, ma a un mio amico qualche giorno fa è successo sulla metro: appena seduto nell’unico posto libero, gli italiani accanto a lui hanno farfugliato qualcosa e si sono alzati, decidendo di rimanere in piedi lì accanto».

 

 

«L’effetto si sente, anche se non drammatico. Questo è il primo week-end in cui le presenze sono davvero calate. Secondo me c’è anche una psicosi evidente, è un problema serissimo ma qui di fatto la situazione è sotto controllo» Dice Salvatore Perrotta, presidente Nuovo mercato Esquilino. «Questo mercato è multietnico da sempre, gli operatori sono abituati a lavorare insieme, non c’è tempo per il razzismo».

 

Presidente Nuovo Mercato Esquilino

 

È ora di pranzo. Al Li-Hai – bar-ristorante-tavola calda – Alessandro, il ragazzo italiano dietro al bancone, preferisce non commentare. Ci sono i titolari cinesi a guardarlo, e non vuole problemi più di quanti ne abbia già. Il bar è deserto, con il cibo ancora immacolato nei vassoi del buffet.

 

merce cinese mercato

 

Ma non tutti i locali sono vuoti. All’Hang Zhou, il ristorante cinese più famoso di Roma, c’è un sacco di gente ai tavoli. Sonia, l’eccentrica proprietaria, è riuscita, tramite la sua consolidata notorietà, a mantenere, nonostante la psicosi collettiva, una discreta clientela. L’agenda delle prenotazioni sul bancone è stracolma delle firme dei giornalisti che sono passati di lì a pranzo, e Sonia è tutta la mattina che rilascia interviste. Ci risponde Daniele, il genero: «Ci sono state molte disdette negli ultimi giorni. Eravamo abituati a 150 coperti al giorno ma nell’ultima settimana ne abbiamo fatti a malapena 40. Dei nostri clienti hanno chiamato dicendo: “avevamo prenotato per 11 ma gli altri non vengono più, noi due però arriviamo lo stesso”. Si avvicinano due clienti italiani, incuriositi dalla conversazione: «La posso dire una cosa? – Fa uno dei due – molta della colpa è di alcuni media che fanno disinformazione, davanti all’asilo di mia figlia ieri c’era questa giornalista che è rimasta ad aspettare tutto il giorno una madre preoccupata che le desse l’unica risposta che voleva sentirsi dire».

 

Hang Zhou da Sonia ristorante

 

«Nessuno del nostro personale è stato in Cina –interviene Daniele- e se qualcuno ci fosse stato, sarei stato io stesso il primo a lasciarlo casa due settimane per sicurezza. Questa fobia insensata sta creando grossi danni, noi che siamo in salute riusciamo a tirare avanti, ma per ristoranti a gestione familiare può essere un grande problema. Molti nella comunità cinese hanno paura di parlare perché temono di sbagliare, non agli occhi degli occidentali, quanto a quelli dei loro connazionali. Ma questo è  il momento di intervenire, proprio per contrastare le fake-news. Noi abbiamo deciso di metterci la faccia e raccontare le cose come stanno».