Le telecamere di videosorveglianza in Cina sono ormai presenti ovunque e sono più di 176 milioni in tutto il territorio. Non solo registrano e conservano i fotogrammi ma sono anche in grado di riconoscere i volti servendosi di tecnologie sempre più avanzate.
A Shanghai uno degli utilizzi più innovativi del riconoscimento facciale è quello sui passaggi pedonali: chi cammina fuori dalle strisce in alcuni incroci viene automaticamente riconosciuto e il suo volto appare sugli schermi adiacenti come forma di pubblica censura che si aggiunge al pagamento di una multa. Nei bagni pubblici del Tempio del Cielo, un complesso monumentale religioso a Pechino, il riconoscimento serve a evitare gli sprechi di carta igienica negando l’erogazione a chi si presenta davanti al distributore per la seconda volta.
Ma cosa succede ai sistemi di riconoscimento facciale quando è necessario far fronte a un’epidemia che rende obbligatorio indossare la mascherina per evitare il contagio da Coronavirus? I soli punti caratteristici di occhi e testa, la parte che rimane scoperta anche quando si indossa la mascherina, non bastano a garantire la sicurezza del riconoscimento.
Così, se le mascherine impediscono di sbloccare lo smartphone, diventa difficile svolgere operazioni della routine cinese, dall’apertura dei portoni dei palazzi all’uso delle app bancarie, dall’imbarco in aereo nei 200 aeroporti del Paese fino alla richiesta di cibo a domicilio e alla prenotazione di visite mediche passando per il cellulare. Per questo, Weibo – piattaforma simile a Twitter – raccoglie in questi giorni le lamentele degli utenti che protestano chiedendo metodi alternativi.
Le protezioni per difendersi dal Coronavirus sono obbligatorie nelle province di Guangdong, nel sud del Paese, in quella di Jiangxi, al centro, oltre che nelle città di Nanchino e Ma’anshan nella provincia di Anhui e in quella di Xinjiang nella provincia di Henan.
In quest’ultima regione, tra l’altro, che ospita una minoranza cinese musulmana uigura, dall’inizio del 2017 il governo ha messo a punto un sistema di riconoscimento facciale che avvisa le autorità quando gli obiettivi (gli uiguri, tracciati in base al loro aspetto) si allontanano a più di 300 metri da casa o dal posto di lavoro: “il primo esempio noto di governo che usa intenzionalmente l’intelligenza artificiale per la profilazione di una minoranza” scriveva il New York Times in un articolo il 14 aprile 2019.
Le mascherine cambiano i connotati, coprendoli, e riescono a ingannare, come si è visto anche nel corso delle proteste di Hong Kong, anche l’intelligenza artificiale dei sistemi di riconoscimento governativi.