«Sleepy Joe non sa nemmeno dove si trova o cosa sta facendo o per quale ufficio stia correndo. Se Joe Biden anche ottenesse la presidenza sarebbe di sicuro il suo staff a governare per lui. Lo metteranno in una casa, e altre persone gestiranno il Paese, e saranno super-pazzi, dei folli radicali. E Joe sarà in un a casa e guarderà la televisione».
Dalle primarie del South Carolina del 29 febbraio, quando Biden è tornato al centro dell’attenzione, nemmeno il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha rinunciato ad unirsi al coro degli attacchi incrociati. Durante un “town-hall” meeting con Fox News giovedì notte Trump ha alluso per l’ennesima volta al fatto che Joe Biden sia “unfit for office”, inadatto a governare, dando eco alle illazioni e alle teorie non supportate da prove circa i presunti deficit cognitivi del candidato democratico alla presidenza.
Il presidente Trump e il suo staff hanno promosso un video manipolato che ha fatto apparire il candidato alla nomination democratica Joe Biden come se avesse per sbaglio fatto il proprio endorsement allo stesso candidato repubblicano. Il filmato, che è stato visto più di 5,8 milioni di volte e ritwittato più di 34.000 volte a partire da domenica mattina, mostrava Biden alle prese con una battuta nel suo discorso di sabato a Kansas City, Missouri.
«Scusate. Possiamo solo rieleggere Donald Trump». Ma la clip è stata modificata per tagliare la seconda parte del discorso di Biden. Ciò che l’ex vicepresidente ha effettivamente detto è stato questo: «Scusate. Dicevo che finiremo per rieleggere Donald Trump se cadiamo in questa sua trappola di tiro incrociato. La nostra deve essere una campagna positiva». Biden aveva chiesto la fine degli «colpi bassi» tra i suoi supporters e quelli dell’altro candidato alla nomination democratica, il senatore del Vermont Bernie Sanders. Il video è stato per la prima volta segnalato da Twitter come “contenuto-alterato”, con una vera e propria etichetta a testimoniarne la non-veridicità.
Jill Stein, leader dei Verdi ed ex candidata alla presidenza, ha dichiarato che i democratici avranno «un periodo di agonia di 8 mesi» se nomineranno l’ex vicepresidente Joe Biden come candidato alla Casa Bianca. Stein ha usato parole forti arrivando a dichiarare che la condizione di Biden potrebbe precipitare visto il suo «evidente declino cognitivo».
La decisione di Twitter ha anche aperto un dibattito online per il fatto che Facebook non abbia deciso di fare altrettanto lasciando il video intatto. Facebook si è rifiutata di rimuovere quel video, dicendo che i discorsi dei politici, anche quelli falsi costituiscono un aspetto importante del discorso politico. Mark Zuckerberg, ha rafforzato tale opinione con un discorso sulla “libera espressione” alla Georgetown University, in cui ha spiegato che il discorso politico era una delle forme più discusse di discorso e che era importante che il pubblico «ascoltasse i politici in qualsiasi cosa loro dicano, comprese le bugie».
Anche nel mondo dell’informazione il discorso appare presente. In un tweet recente il giornalista Glenn Greenwald, fondatore di The Incercept e celebre per le rivelazioni sul caso Cambrydge Analytica ha apertamente sostenuto che quello di Biden sia un «ormai ovvio declino cognitivo». Negando però che vi sia alcun impegno coordinato tra oppositori di Biden nel diffondere questa teoria.
La campagna di colpi bassi e attacchi trasversali contro il candidato alla nomination Joe Biden avviene in contemporanea con l’accertamento da parte delle autorità di intelligence statunitensi che hacker e troll russi stiano operando segretamente per favorire la nomination del candidato Bernie Sanders, assieme allo stesso presidente in carica, come riportato di recente dal Washington Post. Una storia che riporta alla mente ricordi non troppo lontani, risalenti al 2016, in cui la cosiddetta “fabbrica dei troll” di San Pietroburgo lavorò per favorire apertamente la vittoria di Donald Trump e le sue posizioni isolazioniste a discapito di Hillary Clinton, candidata dell’establishment democratico considerata persona non grata a Mosca per il suo approccio troppo internazionalista ed eccessivamente bellicoso. Odore di deja-vu.