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Esclusiva

Marzo 11 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Marzo 16 2020
Specializzandi: “Senza di noi gli ospedali collasserebbero”

Sono tanti i giovani medici che hanno sospeso gli studi per la loro specializzazione e si sono messi a disposizione degli ospedali per aiutare le vittime del contagio. Scopriamo chi sono

«Il mio reparto è stato interamente occupato dai casi positivi di coronavirus, quindi mi sono ritrovato a lavorare con problematiche che non riguardano in minima parte la mia specializzazione», ci dice un giovane specializzando di un ospedale della zona rossa lombarda, che è voluto restare anonimo anche riguardo la sua branca di specializzazione. «Da medico sto capendo l’importanza della mia categoria professionale e mi sento molto tranquillo, nonostante mi sia accorto che la situazione è davvero grave. Mi sono ritrovato da un giorno all’altro a trattare qualcosa di nuovo ed emergenziale: se oggi avessimo avuto più specialisti pneumologi, rianimatori e infettivologi noi di altre specializzazioni non saremmo qui ad occuparci di ciò che non ci compete. Per esempio da domani quando ci verrà chiesto dovremo controllare la temperatura ai check-point all’ingresso dell’ospedale», ha poi continuato il giovane medico, lasciando comunque trasparire ottimismo e forza di volontà nell’affrontare la situazione.

Anche L., specializzanda in un reparto di cardiologia di un ospedale di una cittadina della zona rossa lombarda afferma di aver integralmente rinunciato alla formazione della sua branca per dedicarsi al coronavirus: «In tre giorni tutto l’ospedale, comprese le sale operatorie, si è preparato a non ricevere più urgenze ma soli i casi positivi di coronavirus per la rianimazione. Anche nel mio reparto non vedo più infarti o altri casi cardiologici interessanti, ma affianco di continuo i colleghi infettivologi e pneumologi». Al momento dell’intervista L. ha alle spalle già 12 ore di turno in reparto e mentre prova a cucinare qualcosa per cena ammette di essere consapevole del fatto che si tratta di un’emergenza nazionale e che è pronta a sacrificare gli studi ai quali avrebbe dovuto dedicarsi: «è qualcosa che anche i medici strutturati con 40 anni di esperienza vedono per la prima volta. Stiamo vivendo la storia della medicina e tutto è per me fonte di arricchimento. Non posso tirarmi indietro e non penserò mai a questi giorni come tempo sprecato che avrei potuto invece dedicare alla cardiologia pura». La pensa così anche V., specializzanda al Policlinico “Umberto I” nel reparto di medicina interna: «Con il paziente si instaura un rapporto interumano impagabile, di scambio e fiducia. Inoltre c’è molta soddisfazione personale. Non mi posso pentire della scelta che ho fatto per questo momento di panico. Sono situazioni improvvise, che fanno paura» afferma. Poi aggiunge: «è un po’ come se ti mettessero in mano un’auto da corsa quando sei appena patentato. All’improvviso diventi una risorsa indispensabile. Ti rendi conto a volte di non conoscere perfettamente le terapie, e sei nel dubbio. Io mi sento costantemente in difetto verso le persone che hanno bisogno di aiuto e io non so se sono in grado di darglielo».

Specializzandi: “Senza di noi gli ospedali collasserebbero”

Anche P. è uno specializzando del Policlinico “Umberto I”, ma nel reparto di chirurgia ortopedica, che da giorni ormai ha ridotto drasticamente il numero degli operati per occuparsi meglio dei contagiati da covid-19. «Ciò che è più preoccupante è che manca sangue e quindi non possiamo operare nemmeno per interventi di pronto soccorso. Non possiamo avere posti in rianimazione e gli interventi più complicati sono in attesa», ci dice sospirando al telefono con la voce stanca mentre torna a casa in macchina. P. non ha dubbi: «Senza noi specializzandi gli ospedali universitari collasserebbero. Gli strutturati non sono in numero sufficiente e in momenti come questi siamo diventati essenzialmente indispensabili, ma so che potrò imparare molto anche da questa situazione complicata».

C’è dunque chi, come P., cerca di affrontare la situazione con positività. Ma le difficoltà del settore medico in Italia, ad oggi, sono numerose. Prima fra tutte, appunto, la carenza di medici. Gli accessi ai corsi di laurea in medicina e alle scuole di specializzazione sono del tutto insufficienti per compensare la continua diminuzione di camici bianchi. Secondo le proiezioni dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane (basate sui dati del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Miur e del ministero della Salute) dei 56 mila medici che il Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) perderà nei prossimi 15 anni saranno sostituiti solo il 75%, cioè 42 mila. Questo significa che in 15 anni l’Italia perderà 14mila medici. E già oggi questa carenza si fa sentire.

«I pazienti della mia branca sono estremamente vulnerabili, quindi tutte le mie abitudini sono cambiate e i turni aumentati», ci dice un’altra specializzanda anonima di un noto ospedale romano. Daniele, specializzando in gastroenterologia al Policlinico “Umberto I” è invece più sereno, ma di corsa dall’ospedale ci dice che la sua vita è radicalmente cambiata da due settimane: «A Roma ancora non siamo in piena emergenza ma ho ricevuto una forte pressione emotiva nel dirci di non frequentare nessuno. La mia vita è tutta casa e ospedale in totale solitudine perché non posso rischiare di diventare un vettore del covid-19».