Il mondo intorno a noi sta cambiando, da qualche giorno a questa parte lo ha già fatto. Molte delle attività che consideravamo scontate, naturali, di fatto non lo sono più. Sono in pausa. Le lunghe cene con gli amici, i concerti, gli aperitivi. Ce ne rimangono però altre, e non meno degne. Ci sono i libri, che in tempi come questi offrono oltre che sollievo, anche una possibilità di evasione. Ci si immerge, lettera dopo lettera, frase dopo frase, e pian piano da una pagina in bianco e nero possiamo perderci in boschi, praterie, piazze e città esotiche dove non siamo mai stati prima. Una volta ancora, in soccorso nei momenti di difficoltà viene la cultura. #letteraturedaquarantena
Del Decameron, a colpire, è sicuramente lo stridore del contrasto tra “l’orrido cominciamento”, ovvero la peste del Trecento a Firenze, e la dolcezza dei racconti, il potere consolatorio che la letteratura sa ricoprire. La necessità profonda e insita nell’uomo di fronte a morte e devastazione nel ricercare il piacere: che può avere forme più disparate, quello della carne, l’ascoltare una novella arguta e ben raccontata, l’indulgere in lauti banchetti. L’uomo di fronte alla morte si rifugia nel materiale, per esorcizzarla, perché altro non sa fare. Ha bisogno di qualcosa di forte, di qualcosa che lo faccia sentire vivo.
Boccaccio ha anche bisogno di difendersi, la sua opera sarà fin da subito tacciata di immoralità, e con un guizzo di genio decide di parlare in prima persona, all’interno della sua stessa opera, nell’introduzione alla quarta giornata. Nella Novella delle papere l’autore vuole dimostrare a chi lo accusa di eccessiva licenziosità, di indulgere troppo nei racconti di amore e di donne, che le forze della natura vanno rispettate, non ignorate. Per la prima volta nella letteratura medievale viene concessa la funzione edonistica, il piacere è apprezzato e lecito così com’è, senza condanne morali. Accettare e rispettare i dettami del piacere è tema delle novelle e anche della cornice stessa.
L’intrattenimento diventa quindi una componente seria e necessaria dell’opera d’arte, autosufficiente nella sua natura, senza bisogno di una giustificazione morale. E anche il carattere di utilità assegnato al Decameron non è di tipo religioso: piuttosto Boccaccio vuole, divertendo, fornire una serie di consigli pratici. Primo su tutti quello su come affrontare la sofferenza delle pene d’amore. Consiglio soprattutto per le donne, a cui viene dedicato il libro, che nelle parole dell’autore, non hanno “la possibilità di distrarsi con gli affari e con la politica, ma anche con gli svaghi come caccia e uccellagione”– accostamento paradigmatico frutto dell’ironia dell’autore – di norma riservati ai soli uomini.
Il contributo dell’autore alla letteratura e alla lingua italiana parla da sé. L’aggettivo legato alla sua figura è entrato nell’uso comune della lingua, al pari di ciò che è avvenuto solo per Pirandello e Kafka. Il termine “boccaccesco” rievoca immediatamente agli occhi di tutti situazioni di beffe scostumate, di sensualità allegra, grossolana e spensierata.
Ma la figura di Boccaccio è sempre stata circondata da un pregiudizio di fondo: l’essere un autore leggero. Leggero e perciò capace solo di raccontare storie sboccate e licenziose, fermandosi lì, al contrario dei cosiddetti “padri nobili” della lingua e della letteratura italiana come Dante e il Petrarca. Gli studi più attuali sull’autore dicono tutt’altro. Le componenti della sua biblioteca, e anche delle sue opere, hanno infatti contribuito a far vedere i più appannati profili di Boccaccio: l’esperto editore dei testi, il filologo, il teorico della letteratura, se non, addirittura, il filosofo e l’umile conoscitore della lingua greca grazie ad alcune lezioni della giovinezza.
«Se Paradiso si potesse in terra fare» è una delle frasi in apertura alla terza giornata: i giovani sono nel giardino della villa, un giardino che ricorda l’Eden, quindi un luogo ameno in cui rimanere al sicuro mentre fuori c’è tutto il male del mondo e la peste continua a mietere vittime. In Boccaccio appare infatti anche il classismo della peste: chi può scappare dal contagio, rifugiandosi in campagna, sono in questo caso i giovani di buona famiglia, gli altri, giù in città, devono continuare a lavorare se vogliono tirare a campare. Come allora, la quarantena rimane oggi una prerogativa di Stati democratici e occidentali, quando non “forzata” come in Cina. Altri Stati in Africa o nel Medio Oriente continueranno a subire gli effetti dell’epidemia come accadeva per le masse popolari fiorentine, basti pensare alla disastrosa situazione attuale in Stati come l’Iran.
Ma non bisogna dimenticare che Boccaccio è uomo del Trecento e non gli si può attribuire una coscienza di classe che non ha mai avuto. Per Boccaccio si tratta di mostrare come in quel giardino – un Eden costruito dall’uomo – la brigata di amici dedita al raccontarsi storie non solo non muore, colpita dall’esterno male del mondo raffigurato dalla peste, ma, attraverso l’esperienza letteraria, fonda nuove regole per il proprio vivere sociale, fondato sulla virtù e sul rispetto dell’altro, del piacere e delle passioni.
La raccolta di novelle fu quasi immediatamente tradotta nelle principali lingue europee ed è conosciuta in tutto il mondo. Sono numerosi gli artisti che da Boccaccio hanno preso spunto e ne hanno ripreso i temi rimodellandoli e attualizzandoli sempre durante l’ininterrotta fortuna di questo autore straordinario.
Il Decameron è al centro del lavoro del 1971 di Pier Paolo Pasolini, un film che vuole essere «un’opera completamente gioiosa, ma in maniera astratta» nelle parole dell’autore. Un Boccaccio infinitamente più reale rispetto all’originale, dove i dialoghi, i dettagli erano raffinati anche quando a parlare era un popolano. Nei dialoghi e nelle scene pasoliniane lo stile elegante e raffinato del linguaggio cade, lasciando il posto al popolare, basti pensare allo scambio di battute tra le domestiche di contrada Malpertugio e Andreuccio nella novella omonima. Pasolini non ingentilisce la realtà, costruisce un Boccaccio tutto suo, in cui far emergere tutta l’innocenza e la gioia popolare e rappresentare, seppur con sobria essenzialità, anche la sessualità, tema ancora scandaloso a quell’epoca, nonostante i 600 anni di distanza.