Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Marzo 22 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 5 2021
Europa, tra errori e strategie nella lotta al coronavirus

L’Europa attraversa un momento cruciale per il suo presente e il suo futuro. Ne abbiamo parlato con Nicoletta Pirozzi, analista dell’Istituto Affari Internazionali

L’Europa e le sue istituzioni stanno vivendo un momento delicato e allo stesso tempo di svolta. Seppur in ritardo, nelle ultime due settimane l’Unione europea si è attivata prendendo misure molto forti per fronteggiare l’emergenza coronavirus. Ne abbiamo parlato con Nicoletta Pirozzi, analista delle politiche europee e responsabile del programma “Ue, politica e istituzioni” dell’Istituto Affari Internazionali.

Di fronte all’emergenza Coronavirus l’Europa si è mossa in modo scomposto e in ritardo. Perché?

«La reazione delle istituzioni europee all’inizio è stata disordinata e tardiva. Da una parte è normale che a muoversi siano stati gli Stati membri, dato che hanno competenza esclusiva sulla salute. Questo è però indice di uno stato di salute dell’Ue che deve destare preoccupazione. Gli interventi messi in campo dalle istituzioni europee sono in linea con le loro competenze. L’Unione sta facendo tutto il possibile ma avrebbe dovuto agire prima e coordinare le azioni degli Stati membri sin dall’inizio. Questa crisi è stata sottovalutata da Bruxelles e considerata un problema italiano».

Cosa ha fatto l’Unione europea finora?

«Sono tre gli aspetti su cui le istituzioni si stanno muovendo. Il primo è il coordinamento dei confini e dello spazio Schengen: all’inizio gli Stati hanno agito per conto loro e ciò avrebbe potuto portare alla morte di Schengen. È intervenuta la Commissione, che ha preparato delle linee guida per gestire i confini, provando a limitare la diffusione del virus ma garantendo il funzionamento del mercato interno, soprattutto dei generi alimentari e del materiale medico. Il secondo aspetto ha a che fare con le misure della Bce, davvero eccezionali: 750 miliardi che hanno avuto effetti immediati. Lo spread, nel giro di una giornata, è sceso sotto i 200 punti percentuali. Poi c’è tutto il pacchetto di sostegno all’economia che ha messo in campo la Commissione. Gli Stati potranno scorporare dal Patto di Stabilità tutte le spese che saranno fatte per fronteggiare l’emergenza. Dal punto di vista economico e del mercato interno l’Europa si sta muovendo».

Fino a che punto l’Italia e l’Europa possono applicare il “modello cinese” per reagire al virus?

« L’Italia e altri paesi stanno applicando il modello cinese, che ha però dei limiti fortissimi; limiti che ci pongono per fortuna le nostre democrazie. La Cina ha una centralizzazione estrema della comunicazione, durante l’epidemia ha parlato ai cittadini da un canale unico dei media. Questo non è possibile nella pluralità delle informazioni tipica delle nostre democrazie. La Cina ha poi effettuato un controllo capillare a livello individuale attraverso l’acquisizione dei dati degli spostamenti, del decorso della malattia. Libertà di informazione e minore controllo sui dati degli individui sono elementi che rendono più complicata la gestione della crisi in Europa, ma sono le linee rosse oltre le quali non è pensabile andare».

La crisi in corso avrà qualche impatto sulle migrazioni verso l’Europa e sulla loro gestione?

«È difficile dirlo. C’è stata una stretta a causa della gestione immediata dell’emergenza coronavirus. Nel lungo periodo bisognerà vedere che impatto avrà la pandemia sulle zone di origine e transito dei flussi migratori».

A livello geopolitico. qual è l’impatto di quest’emergenza sui rapporti con gli Stati Uniti e la Cina?

«Si rischia una modifica degli equilibri geopolitici. Gli Usa hanno seguito la linea dell’America First anche nella gestione dell’emergenza: Trump ha preso misure di contenimento senza dare sostegno agli alleati europei, anzi additando l’Europa e l’Italia come focolai della crisi. Dall’altra parte abbiamo la Cina. Dopo la prima fase dell’emergenza, in cui c’è stato un occultamento dei dati da parte del governo e una gestione focalizzata sull’emergenza nazionale, ora la Cina punta a mostrarsi come un leader internazionale, solidale alle aree colpite e in particolare all’Italia. È propaganda. Quello che è stato spacciato come solidarietà risponde a un interesse geopolitico specifico della Cina per accreditarsi come un partner credibile per i paesi europei e per contrastare gli Stati Uniti. È importante che le istituzioni europee capiscano l’importanza della comunicazione strategica per contrastare questo tipo di ingerenze esterne nelle nostre democrazie».

L’Europa ha avuto difficoltà a livello comunicativo. Da cosa sono dipese?

«La mancanza di una strategia di comunicazione è una delle malattie dell’Europa. Ancora non si riesce a competere con altri attori internazionali: c’è una cacofonia di voci nella comunità europea, abbiamo più di un’istituzione e più di un responsabile politico. Ma anche nel modo di fare comunicazione l’Unione non riesce ad arrivare in maniera efficace ai suoi cittadini. Già a fine febbraio in Italia c’è stata la visita tempestiva del commissario alla salute europeo, che ha portato un pacchetto di aiuti. Eppure non se ne è avuta notizia».

L’Europa saprà approfittare dell’emergenza per cambiare il proprio modello economico e politico?

«L’Ue dovrebbe cogliere l’occasione che si presenta. Alcune delle iniziative prese in questi giorni possono porre le basi per un cambiamento strutturale di governance economica e politica. Il fatto che la Bce sia intervenuta in maniera così massiccia e tempestiva è un fatto importante: è accaduto anche in passato, ma nel caso della crisi economica ci sono voluti anni e il fallimento della Grecia prima che la Bce intervenisse con forza. Per il futuro è importante andare verso una maggiore condivisione del rischio. Da questo punto di vista la proposta dei coronabonds, di cui si parla, potrebbe segnare un passo avanti importante rispetto al passato».