Sono le 8 di mattina quando Claudia Lodesani, presidente di Medici Senza Frontiere Italia dal 2018, risponde al telefono prima di cominciare il lavoro da infettivologa che la vede in prima linea da due settimane a questa parte nella zona rossa lombarda. «Da sempre siamo abituati alle polemiche, ma stavolta non abbiamo tempo da perdere», ci dice quando parliamo delle critiche che sono state rivolte alle ONG da alcuni esponenti politici della destra italiana. MSF, così come Emergency ed altre organizzazioni umanitarie che solitamente operano in contesti di crisi internazionali, è in prima linea contro il coronavirus soprattutto nelle aree più critiche in Italia.
Presidente, dove si trova al momento e in quali luoghi stanno operando in queste settimane i medici di MSF Italia?
«L’8 marzo abbiamo iniziato il nostro progetto a Lodi in supporto ai colleghi dell’azienda sanitaria del lodigiano, siamo 25 in tutto. Altri 3 colleghi ed io stiamo pensando di offrire il nostro supporto in altre regioni italiane con altri progetti».
Perché secondo lei è nata la polemica contro i medici delle ONG che si sarebbero dimenticati dei malati di covid-19 in Italia?
«Mi ha stupito moltissimo: non può esserci spazio per polemiche così sterili in un momento come questo. Non me lo so spiegare, ma so che stiamo lavorando così tanto da non avere tempo di parlare coi giornalisti. La risposta migliore è quello che facciamo: chi non ci crede dovrebbe venire a verificare di persona come stiamo lavorando con i colleghi del lodigiano. Non ci facciamo distrarre dalle polemiche adesso, sono sempre esistite anche prima che si verificasse l’epidemia di coronavirus in Italia. Andiamo avanti così».
Abbiamo tutti sentito almeno una volta da un mese a questa parte l’affermazione “siamo in guerra”. Cosa pensa di questo paragone lei, che ha lavorato da medico in missione in più aree di conflitto armato?
«Il paragone non è calzante: in guerra soccorriamo persone che muoiono o rimangono ferite per una volontà razionale, pensata e studiata da altre persone. Questa epidemia invece è dovuta a un agente infettivo che esiste in natura, non è voluta a tavolino. In una guerra noi medici non possiamo controllare ciò che succede a causa dell’elevato numero di feriti che arrivano ogni giorno presso i nostri presidi. Nel caso del coronavirus invece possiamo ancora controllare l’afflusso dei contagiati: se conosciamo scientificamente l’agente patogeno in questione possiamo combatterlo razionalmente».
Da infettivologa in missione lei ha già lavorato in altre epidemie nel mondo ed ha già vissuto quello che stiamo vivendo oggi nel nostro paese. Cosa vuole dire agli italiani che sono preoccupati per quello sta succedendo?
«Nel mio lavoro in MSF in aree svantaggiate ho avuto a che fare con l’epidemia di Ebola, colera e morbillo soprattutto in Africa. Ciò che accomuna tutte le epidemie è l’afflusso massivo di persone infettate nei reparti di pronto soccorso in poco tempo, e i sistemi sanitari europei e occidentali ovviamente sono da sempre più preparati a questo tipo di emergenze. Quello che si può fare nel nostro paese invece è un cambiamento di approccio e mentalità: abbiamo la possibilità di agire sulla società e sul territorio invece che sul singolo paziente se favoriamo il lavoro dei medici di base e proteggiamo chi vive nelle case per anziani».