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Esclusiva

Marzo 27 2020
Nei Promessi Sposi “la peste c’era entrata davvero”

Manzoni racconta le difficoltà dell’amore di Renzo e Lucia, umili protagonisti di una nuova letteratura. L’arrivo dell’epidemia in Lombardia permette di rileggere l’opera con un occhio alla modernità

Il mondo intorno a noi sta cambiando, da qualche giorno a questa parte lo ha già fatto. Molte delle attività che consideravamo scontate, naturali, di fatto non lo sono più. Sono in pausa. Le lunghe cene con gli amici, i concerti, gli aperitivi. Ce ne rimangono però altre, e non meno degne. Ci sono i libri, che in tempi come questi offrono oltre che sollievo, anche una possibilità di evasione. Ci si immerge, lettera dopo lettera, frase dopo frase, e pian piano da una pagina in bianco e nero possiamo perderci in boschi, praterie, piazze e città esotiche dove non siamo mai stati prima. Una volta ancora, in soccorso nei momenti di difficoltà viene la cultura. #letteraturedaquarantena


«La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia».

È l’incipit del capitolo XXXI dei Promessi Sposi. Quello in cui la peste, malattia temuta e attesa, arriva a Milano per appropriarsi dell’opera di Manzoni nel suo snodo cruciale. In un momento in cui la ricerca della fine è lontana, ma si intravede. 

Ambientato nella prima metà del 1600, il romanzo inizia con una descrizione, quella di Don Abbondio che passeggia tra le strade di Lecco. Giunto a un bivio, ad attendere il curato ci sono due bravi. Su ordine di Don Rodrigo, signorotto del posto, lo avvisano di non celebrare il matrimonio tra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, due giovani compaesani.

Nei Promessi Sposi “la peste c’era entrata davvero”
Francesco Gonin (1808-1889) – edizione del 1840 dei Promessi Sposi

Inizia così una delle storie più affascinanti della letteratura italiana. La storia di un amore voluto e inseguito. Cercato e ottenuto, superando ostacoli e imprevisti. I due innamorati decidono di scappare per realizzare il loro sogno: Renzo va a Milano mentre Lucia, con sua madre Agnese, chiede ospitalità nel convento di Monza. Informato della fuga, Don Rodrigo manda i suoi bravi alla ricerca dei giovani. 

È il periodo della dominazione spagnola in Lombardia. Sono giorni di proteste, rivolte. Renzo finisce in una di queste. Viene arrestato, riesce a scappare e si rifugia a Bergamo da suo cugino Bortolo. Don Rodrigo continua a cercare Lucia per rapirla con l’aiuto dell’Innominato, perfido signorotto del bergamasco. Con il supporto della monaca di Monza, l’Innominato riesce a rapire la ragazza per poi pentirsi dell’azione compiuta, decidendo di cambiare vita. In città arriva il cardinale Borromeo e il pentito si reca da lui per confessare il rapimento e chiedere perdono. Lucia viene allora liberata e trova ospitalità da una coppia di borghesi disponibili ad aiutarla.

La situazione di Renzo si complica. Scrive a Lucia ma Agnese lo invita a rinunciare alla sua amata perché ha fatto voto di castità quando è stata rapita dall’Innominato. 

Divampa allora la guerra. E con le truppe tedesche e i Lanzichenecchi, in Italia e a Milano arriva la peste, una nuova piaga. I monatti, incaricati di portare gli appestati al Lazzaretto o alle fosse comuni, occupano l’intera città. 

Lo storico affresco della peste riempie i capitoli XXXI e XXXII dell’opera. Manzoni individua nell’epidemia una tragedia tutta terrena. Un morbo diffuso dall’operato degli uomini e la cui portata poteva essere contenuta. L’autore evidenzia soprattutto l’ignoranza di un popolo che non vuol sentir parlare della malattia e che accusa chi diffonde allarmismo. 

«S’era visto di nuovo, o questa volta era parso di vedere, unte muraglie, porte d’edifizi pubblici, usci di case, martelli. Le nuove di tali scoperte volavan di bocca in bocca; e, come accade più che mai, quando gli animi son preoccupati, il sentire faceva l’effetto del vedere». [cap. XXXII]

Si diffonde il mito degli untori, follia di cui nessuno osa dubitare per evitare accuse di complicità. E c’è il rimprovero a un potere che non esita a condannare innocenti sulla base di prove inconsistenti. Il processo agli untori è un momento importante e Manzoni approfondisce il discorso in un lavoro pubblicato in appendice al romanzo, la Storia della colonna infame.

Nei Promessi Sposi “la peste c’era entrata davvero”
Alessandro Manzoni

I Promessi Sposi continuano con l’arrivo a Milano di Don Rodrigo, che dopo una notte tormentata scopre di essere malato e manda il Griso, suo scagnozzo, a chiamare un medico che possa farlo guarire senza denunciare le sue condizioni alle autorità. Ma il Griso non obbedisce e chiama i monatti, che portano l’uomo al Lazzaretto. Anche Renzo si ammala ma guarisce. E dirigendosi al suo Paese per nostalgia si imbatte in Don Abbondio, che lo aggiorna sugli ultimi fatti.

Torna quindi a Milano per cercare Lucia e viene a sapere che la sua promessa si sta prendendo cura dei malati al Lazzaretto. Va lì. Incontra Fra’ Cristoforo e un Don Rodrigo in fin di vita. Poi riabbraccia l’amata, sempre intenzionata a rispettare il suo voto. Chiede quindi una mano a Fra’ Cristoforo, che spiega a Lucia che non è possibile offrire in voto a Dio la volontà di un altro. 

La pioggia cade su Milano, portando pian piano via la peste. Si arriva al 1630, anno in cui i due Promessi Sposi riescono a tornare dove tutto è cominciato. Si celebrano le nozze, nasce la piccola Maria e i due innamorati, in chiusura, suggeriscono “il sugo di tutta la storia”.

«Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore». [cap.XXXVIII]

E a distanza di qualche secolo la lezione resta la stessa.