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Esclusiva

Marzo 29 2020
E tu sei in guerra?

Uso e abuso delle metafore di guerra nel discorso sul Coronavirus, ma non sarà la logica binaria a salvarci dall’epidemia

Si dice che Franz Boas, uno dei fondatori dell’antropologia americana, studiando le popolazioni che vivevano a latitudini polari scoprì le innumerevoli parole che usano gli eschimesi per definire «neve». È la realtà che ci circonda a forgiare il linguaggio con cui la esprimiamo, ma Edward Sapir, linguista e antropologo, sosterrebbe che è vero il contrario: «vediamo, udiamo e facciamo esperienze in gran parte perché le abitudini linguistiche della nostra comunità ci predispongono a certe scelte di interpretazione.» Oggi la nostra lingua ci restituisce l’immagine del mondo tutto in guerra contro un nemico invisibile, il Coronavirus che attanaglia la gola e rispolvera la logica binaria della lotta con cui vediamo ed esprimiamo la malattia.

Nei giorni dell’epidemia i capi di stato e di governo hanno parlato ai loro paesi ricorrendo a metafore di guerra. Donald Trump ha twittato: «we will win this war», vinceremo questa guerra, mentre nel video sottostante il vento gonfia le bandiere americane. Boris Johnson, il Primo ministro britannico, ha il ciuffo biondo e schiacciato sulla fronte quando annuncia ai concittadini di essere positivo al Coronavirus. « È possibile sconfiggere l’epidemia» dice loro. «Siamo in guerra» fa eco il Presidente francese Emmanuel Macron, mentre il re di Spagna Felipe VI ringrazia medici e infermieri: «siete la nostra prima linea.» Il sovrano continua, ma il frastuono delle pentole, le caceroladas, suonate ai balconi dal popolo esasperato sovrasta le sue parole. Così anche il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, quando l’11 marzo con lo sguardo teso annuncia altre misure di contenimento: «ringrazio i medici che combattono l’emergenza sanitaria.»

Le parole danno forma alla malattia, ma è chi soffre a sceglierle per dire il suo dolore. È quello che non succede a Sinisa Mihajlovic, allenatore del Bologna ed ex calciatore, quando scopre di avere la leucemia. Il giorno stesso della conferenza stampa in cui avrebbe dovuto annunciare la sua malattia Ivan Zazzaroni, direttore del Corriere dello Sport, lo anticipa e titola: «un’altra battaglia per il guerriero». Sui social in molti lo incitano, «eroe», «combattente», quasi dovesse vergognarsi ad aver paura di morire. Le parole danno forma alla malattia e se il tumore ai polmoni di Oriana Fallaci diventa «l’alieno da combattere», Susan Sontag (scrittrice e intellettuale statunitense) respinge invece le metafore di guerra che ruotano attorno alla narrazione del cancro: «le cure hanno un che di militare. La radioterapia impiega le metafore della guerra aerea» scrive nel suo libro “Malattia come metafora”.

Anche Walter Ricciardi (membro del Comitato Esecutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) nei giorni dell’epidemia dice: «gli italiani hanno capito che è una battaglia di trincea e il virus non è in ritirata». Pure la medicina si fa teatro di guerra e così i camici bianchi si fanno milizie e quelle che hanno in volto non sono solo mascherine e visiere ma veri e propri scudi moderni nella lotta al Covid-19. Non case di cura ma polveriere , non operatori sanitari ma angeli, o eroi, mentre i morti sono i caduti riportati di giorno in giorno nel bollettino delle 18:00.

Le parole danno forma alla malattia, ma attenzione alla logica binaria del vincitore e del vinto che le metafore di guerra implicano. La guerra vuole l’eroe senza macchia, una narrazione che non appartiene a questi giorni. A questi giorni appartengono la solitudine dei malati lontani dalle famiglie, la paura degli operatori sanitari che continuano a fare il loro lavoro, le visiere trasparenti sul volto dei farmacisti per il timore del contagio e la solidarietà degli infermieri che mettono a disposizione i loro telefoni per lenire l’abbandono di chi è ricoverato. Le parole di Susan Sontag sembrano cucite per il nostro tempo quando scrive: «in un decennio nel quale le guerre […] non sono andate tanto bene, sembra far fiasco anche la retorica militaresca.»