A quattro mesi dal lockdown torna l’inquinamento in Cina. Secondo gli analisti di Carbonbrief, organizzazione inglese che si occupa di monitorare le emissioni di inquinanti nell’atmosfera, i livelli di diossido di azoto (NO2) si stanno riallineando ai livelli pre-emergenza coronavirus, sopratutto nelle zone più industriali della terra del dragone.
Nel pieno della crisi epidemica partita dalla provincia di Hubei, le misure di prevenzione avevano indirettamente ridotto del 25 per cento le emissioni di Co2 e altri inquinanti nell’atmosfera. Anche le immagini satellitari raccolte dal Copernicus Atmosphere Monitoring Service, il programma europeo di osservazione terrestre, testimoniano un peggioramento generalizzato della qualità dell’aria cinese. Una delle poche aree geografiche del globo dove l’inquinamento sta ricominciando a crescere.
I monitoraggi effettuati dall’Air Quality Index, ong che si occupa di monitorare la qualità dell’aria a su scala globale, hanno registrato un aumento degli inquinanti in Cina a partire dall’ultima settimana di marzo.
https://aqicn.org/map/wuhan/huagongquzhan/
L’inquinamento in Italia
L’inquinamento atmosferico della pianura padana è in diminuzione. Lo dicono i dati raccolti dalle centraline Arpa delle tre maggiori regioni del nord: Lombardia, Emilia Romagna e Veneto.
Gli inquinanti
Secondo uno studio dell’agenzia regionale lombarda per la protezione ambientale, i valori dei principali inquinanti connessi al trasporto urbano (biossido di azoto, monossido di azoto e benzene) risultano tra i più bassi degli ultimi dieci anni. «In questo caso – rileva Arpa Lombardia nel suo studio – è più evidente l’effetto della riduzione delle emissioni connessa alla riduzione dei flussi di traffico, che in ambito urbano è certamente la prima fonte di ossidi di azoto».
In sintesi, si può parlare di “effetto coronavirus” sull’inquinamento atmosferico della pianura padana? A un’analisi preliminare sembra di si: «L’analisi dei dati – continua l’Arpa – della qualità dell’aria evidenzia che le misure messe in atto per fronteggiare l’emergenza hanno certamente determinato una riduzione delle emissioni derivanti in particolare dal traffico veicolare, che sono più evidenti analizzando le concentrazioni degli inquinanti legati direttamente al traffico, ovvero NO (monossido di azoto), benzene e in parte NO2 (diossido di azoto), attestandosi attorno ai valori minimi o inferiori ai valori più bassi registrati in ciascun giorno di calendario nel periodo di osservazione».
Per gli inquinanti di origine antropogenica come monossido di azoto e benzene, le concentrazioni nel periodo dell’emergenza COVID-19 corrispondono o sono inferiori al minimo registrato negli anni precedenti. L’Arpa afferma che «A conferma che anche in questo caso le concentrazioni degli inquinanti primari, che si trovano in atmosfera soprattutto in prossimità delle fonti, diminuiscono più significativamente se le sorgenti si riducono rispetto a quanto non succede per inquinanti in parte secondari, come il PM10, che per di più sono connessi ad una pluralità di processi e di fonti».
Le polveri sottili
I valori delle polveri sottili (pm10 e pm2,5) hanno seguito un andamento confrontabile con quello del 2019, rimanendo su valori comparabili a quelli minimi registrati o attestandosi poco sotto. Tuttavia, il particolato è un inquinante che risente anche di meccanismi chimici complessi, non dipendenti dall’attività antropica. E se il trend generale rende conto di una progressiva riduzione del particolato atmosferico, le analisi più recenti hanno registrato anche una forte variabilità della loro diffusione in atmosfera.
A Codogno, una delle prime cittadine lombarde a essere dichiarato zona rossa (il blocco totale del paese fu imposto a inizio febbraio), il 25 febbraio si è registrato un picco dei valori di particolato (PM10) pari a 82 microgrammi per metrocubo (µg/m³), sebbene il comune fosse sottoposto alle misure di lockdown da più di venti giorni.
Le condizioni climatiche dei primi tre mesi dell’anno ha poi contributo all’accumulo di polveri sottili nell’aria, influendo più del lockdown imposto per contrastare l’epidemia di coronavirus. «Nonostante la riduzione dei flussi di traffico e di parte delle attività industriali, – continua Arpa – è risultato chiaro il contributo della componente secondaria e della situazione meteorologica più favorevole all’accumulo», cioè le reazione chimico-fisiche in atmosfera che favoriscono i picchi di particolato nell’aria.
Ad esempio, il 28 e del 29 marzo le centraline di tutta la pianura padana hanno registrato un picco del pm10 a causa dei venti, complici del trasporto di particolato di origine desertica proveniente dall’Asia (in particolare dai Balcani) confermato anche dal Copernicus Atmosphere Monitoring Service. Il picco è stato registrato in maniera peculiare dalle centraline dell’Emilia Romagna.
Nonostante i picchi di particolato che hanno caratterizzato alcune delle giornate di marzo, Arpa Lombardia afferma che «Sia per PM10 che per PM2.5 va rilevato comunque che qualora le emissioni fossero rimaste quelle usuali […] le concentrazioni sarebbero verosimilmente risultate superiori». A riprova del fatto che, sebbene non influenzati unicamente dalla componente antropica, il calo delle emissioni ha influito almeno in parte sulla presenza in atmosfera di PM10 e PM2,5.
(Visualizzazione Grafica di Emanuele Camarda)
Le mappe sull’inquinamento di Emilia Romagna e Lombardia fanno parte della rubrica Social Data Intelligence, realizzata insieme ai ricercatori del Luiss Data Lab in collaborazione con Alkemy Lab (Technology & Algorithm provider per i motori sperimentali) e Catchy (Data provider e content provider con Luiss Data Lab)