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Esclusiva

Aprile 25 2020
«Libera da stereotipi e discriminazioni»

Consapevolezza della propria identità e rifiuto di vecchi retaggi culturali. Il 25 aprile di un chirurgo, tra sala operatoria e puzzle da completare

«La pandemia da COVID-19 non è una guerra e i medici non sono i partigiani che hanno liberato l’Italia dal Nazifascismo. Metafore belliche e paragoni sono irrispettosi verso chi ha vissuto quegli anni in prima persona». Non ha dubbi Chiara, che lavora come chirurgo generale nella provincia di Latina. Per fare il mestiere che ama, ogni giorno percorre in macchina la strada statale Pontina, fra le più pericolose del Paese, che collega la Capitale con la città di Terracina.

Il 25 aprile la trentottenne romana sarà di turno fino alle due di pomeriggio. Poi niente camice, né tavolo operatorio. Si godrà un tempo raro e prezioso con la sua famiglia. «Tornerò al lavoro lunedì prossimo. Mio figlio ha tre anni e non vede l’ora. Ha già rovesciato la scatola dei giochi e iniziato i puzzle. Tenergli testa sarà più impegnativo che asportare una colecisti»

Cos’è per te la Festa della liberazione?

«È un giorno che sento mio, che non è rimasto confinato fra le pagine dei libri. L’ho sempre visto come la possibilità di un pensiero nuovo, da cui ripartire. Quest’anno l’atmosfera è particolare e non ci sarà molto spazio per i festeggiamenti».

«Libera da stereotipi e discriminazioni»

Questa ricorrenza può avvicinare le persone?

«Sono scettica. La paura del virus è tale che c’è un distanziamento umano, oltre che sociale. Il tempo delle canzoni sui balconi è finito. Ora dilaga la cultura del sospetto. Basta fare la coda al supermercato: se non indossi la mascherina o i guanti, le persone diventano ostili e ti giudicano, ostentando conoscenze mediche. Come fai a spiegare a questi laureati da tastiera che persino le autorità rilasciano dichiarazioni contrastanti sull’uso dei dispositivi di protezione?»

È mai esistito un 25 aprile nella storia della medicina?

«Non è possibile fare un paragone. Si può affermare che negli ultimi decenni il mondo scientifico ha iniziato un processo di liberazione da stereotipi e discriminazioni di genere. Il contesto storico in cui sono cresciuta mi ha permesso di fare scelte e realizzarmi professionalmente. Faccio il medico e ho una specializzazione in chirurgia, una branca da sempre riservata agli uomini. Una rivoluzione culturale se pensiamo a ottanta anni fa. Ma la strada verso la parità è ancora lunga. Per una donna ricavarsi uno spazio di crescita rimane più complesso rispetto a un collega maschio. Spesso viene delegittimata dagli stessi pazienti, che vedono nel dottore con barba e cravatta l’unica figura di riferimento. L’ho sperimentato con dolore sulla mia pelle, ma bisogna essere consapevoli delle proprie capacità e rifiutare questi retaggi culturali».

«Libera da stereotipi e discriminazioni»

Cosa significa resistenza per un medico?

«Non ritenersi un eroe per aver salvato delle vite, né un partigiano che deve compiere una missione. Vuol dire fare il proprio lavoro, senza perdere l’interesse verso un altro essere umano».