«Il lavoro più importante di ogni donna è essere una madre». Parlava così Ivanka Trump durante la campagna elettorale del padre Donald, che lo avrebbe reso il quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti d’America. L’intento dell’ereditiera era sostenere il piano per la maternità da lui annunciato. Lei, donna e madre di tre figli. Molte femministe americane però non presero bene quel discorso: le sue parole erano inaccettabili e non tenevano conto di tutte quelle donne per cui avere un figlio non era una priorità. Ma soprattutto, Ivanka non considerava l’altra metà del cielo: i papà. Come se la cura dei figli fosse un compito esclusivo delle madri. Come se per loro lavorare per percepire uno stipendio fosse marginale.
«Sono retaggi culturali duri a morire. Una donna che prende il part-time per occuparsi della famiglia è socialmente accettata, tanto da far parte ormai della norma. Un uomo che fa lo stesso viene visto come un debole sia dagli altri uomini sia dalle donne stesse». Così Andrea Garnero, economista del lavoro presso la Direzione per l’Occupazione, il Lavoro e gli Affari Sociali dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Aspettative pubbliche, dunque. Qualcosa che la pandemia in corso potrebbe esasperare.
«Una donna deve saper fare tutto, non sono ammesse repliche». Valentina ha una voce stanca, fatica a parlare. 34 anni, romana, avvocatessa e «un’insana passione per il giardinaggio». «Odio ammetterlo, non fa parte di me. Ma sono esausta».
Una recessione al “femminile”
Il Fondo monetario internazionale è stato chiaro: l’economia mondiale entrerà in recessione, contraendosi del 3% nel 2020. Colpa del nuovo Coronavirus Sars-Cov-2 e del lockdown imposto nella maggior parte degli Stati. Ma non sarà una crisi come le altre. «Si fa presto a dire che colpirà tutti in modo indistinto. È vero che nessuno è immune dal virus, ma è altrettanto vero che le condizioni socio-economiche preesistenti hanno un peso. Prima della crisi sanitaria, in Italia una donna su due non lavorava. Questo è un limite incredibile per le potenzialità di crescita del Paese» commenta Garnero.
Secondo una ricerca delle Università tedesche di Bonn e Mannheim, rispetto alle recessioni “regolari”, che incidono perlopiù sull’occupazione maschile, quella in atto potrebbe ridurre il tasso di impiego in settori dove le donne rappresentano la gran parte della forza-lavoro. Uno dei motivi è che a essere impiegati nei rami più colpiti da una crisi “standard” (produzione, edilizia) sono soprattutto gli uomini. L’Organizzazione internazionale del lavoro mostra invece come il 58,6% della presenza femminile sia concentrata nel settore dei servizi (contro il 45,4% di quella maschile). Le donne quindi sono sovra-rappresentate nei segmenti più colpiti dal virus o in quelli in prima linea nel trattare la pandemia.
Le misure di confinamento sociale rischiano di avere effetti devastanti sull’occupazione di molte. In media nei Paesi dell’Ocse, la presenza femminile rappresenta circa il 47% della forza lavoro nel trasporto aereo, il 53% nei servizi di ristorazione, il 60% in quelli di alloggio, il 62% nel commercio al dettaglio. Proprio i settori più colpiti dalla pandemia. Ma c’è dell’altro. La chiusura delle scuole sta aumentando la necessità di assistenza all’infanzia. Più di 1,5 miliardi di bambini nel mondo è a casa. Difficile contare sull’aiuto dei nonni perché considerati soggetti più a rischio. Limitata anche la possibilità di condividere l’impegno con vicini e amici, date le misure di allontanamento sociale.
Su chi ricade dunque la cura dei figli? Sulle donne. Sarebbero loro, secondo l’Ocse, ad avere maggiori responsabilità domestiche. Il che rende spesso difficile, in caso di licenziamento, trovare forme di lavoro e di reddito alternativi. Senza contare che, in tutti questi Paesi, i guadagni femminili sono in media inferiori a quelli maschili. A questo si associa un tasso di povertà più elevato.
Il caso italiano
I dati Istat del 2019 mostrano che in Italia vivono poco più di 26 milioni di famiglie: il 33,7% è costituito da coppie con figli, il 32,3% da single e l’11,5% da nuclei monogenitoriali. Di questi ultimi, la gran parte (2,3 milioni) è formata da donne. Qui il tasso di occupazione femminile è uno dei più bassi d’Europa: nella fascia d’età 15-64 è pari al 49,5%. La media europea è del 63,3%. A parità di mansione, le donne percepiscono stipendi più bassi. A risentire di più della crisi economica sembrerebbero dunque le madri single. Non gioiscono neanche le mogli. Le coppie con figli in cui ambedue i genitori sono occupati a tempo pieno sono il 27,5% delle famiglie con prole. Occuparsi dei bambini per loro è un impegno ulteriore.
Un impegno che, anche in questi casi, ricade perlopiù sulla madre. Nel 2018, il 22,5% dei lavoratori con figli di 0-14 anni ha dichiarato di aver modificato alcuni aspetti della propria professione per dedicarsi ai piccoli. Entrambi i genitori ammettono di aver difficoltà a conciliare lavoro e vita familiare, soprattutto le donne. Il 38,3% delle madri occupate (oltre un milione) ha affermato di aver fatto un passo indietro, contro poco più di mezzo milione di padri, pari all’11,9%. Con scuole e asili chiusi, la pandemia rende necessaria una maggiore assistenza all’infanzia. In assenza di accordi di lavoro flessibili, un coniuge potrebbe dover temporaneamente lasciare la propria professione. È probabile che a farlo sarà la moglie.
«Non so più dove sbattere la testa. Tra il lavoro da casa e lo stare appresso ai bambini, è un inferno. Ma non posso neanche lamentarmi, so che c’è chi sta peggio di me» spiega Valentina. In sottofondo, le urla festose di «due pesti», come le chiama lei. «Ho la fortuna di poter svolgere tutte le pratiche da casa, ma non è come prima. Ho la sensazione che mi stia perdendo qualcosa».
Secondo Garnero «le donne rischiano di rinunciare a scatti di carriera molto importanti per dedicarsi ai figli. Sono sotto una grande pressione». Quale futuro dunque? La perdita del posto di lavoro comporta una mancanza di guadagno prolungata e molto più grave quando si verifica nelle recessioni. A dirlo è Ann Huff Stevens, dell’Università di Chicago. Inoltre, chi oggi perde il proprio impiego rinuncia a tornare alla sua attività e probabilmente avrà un’occupazione meno sicura in un secondo momento, precisa Gregor Jarosch, professore all’Università di Princeton.
Smart working, risorsa o segregazione?
Neanche il telelavoro sembrerebbe essere d’aiuto. «Prima della crisi era qualcosa di positivo perché permetteva di conciliare gli incarichi familiari con quelli lavorativi, di perdere meno tempo negli spostamenti e di ridurre in parte lo stress. Quello di adesso è lavoro da casa “a caso”, non è strutturato né dal punto di vista del materiale disponibile e dell’organizzazione né da quello della mole di impegni», sostiene l’economista.
«Lo smart working – continua – potrebbe rappresentare un’opportunità importante, soprattutto per le imprese. Ma la paura che i dipendenti lavorino di meno è sempre prevalsa. In realtà queste resistenze riflettono un’incapacità (o una poca voglia) di fare quel salto di qualità che permetterebbe di avere un telelavoro serio, vero. Si potrebbe iniziare smettendo di usare le ore lavorative come unica misura delle performance dell’impiegato e usare un parametro che tenga conto degli obiettivi. A prescindere che il dipendente inizi a lavorare alle 9 o alle 11, quello che importa è che svolga correttamente le proprie mansioni. Ma è più facile valutare se alle 9 è seduto alla scrivania o meno. Che poi stia guardando YouTube o lavorando poco importa».
In Italia, dall’inizio della pandemia, una donna su tre dichiara di lavorare più di prima e stenta a mantenere un equilibrio tra professione e vita privata. Il rapporto, tra gli uomini, è di uno su cinque. È quanto emerso da un’indagine di Valore D, associazione di imprese impegnata nella realizzazione dell’equilibrio di genere. Questo perché più che “smart”, il lavoro da casa risulta “extreme”, soprattutto per le madri. E quando accettano un accordo di lavoro flessibile, ci si aspetta che svolgano contemporaneamente anche quello domestico.
«Se ho una certezza è che adesso i miei impegni sono quadruplicati. Non perché siano magicamente aumentate le mie mansioni, ma perché devo pensare anche a come allietare le giornate ai miei figli. Non me ne lamento, ho scelto di essere una madre, non mi ha costretto nessuno. Ma mi rendo conto che per me le difficoltà, dall’inizio di questa pandemia, sono aumentate» commenta Valentina mentre prepara la merenda. Davide, suo marito, è un imprenditore edile. «Non dico che per lui sia più facile, è un gran lavoratore. Ma se una delle due pesti piange, chi va a consolarla sono io».
Anche Garnero è preoccupato: «Ho paura che questa fase due, con la riapertura di alcuni uffici e non delle scuole, possa aggravare la loro situazione. Il telelavoro ha dei vantaggi, ma per una madre rimanere a casa per dedicarsi ai figli significa perdersi quello che accade in ufficio, con gli uomini che possono far carriera alle spalle delle colleghe. Lo smart working deve essere un’opportunità, non una segregazione».
Donne, lavoratrici, mamme e “regine della casa”. Il congedo parentale, previsto dal decreto Cura Italia, potrebbe essere un passo avanti. Uno studio delle ricercatrici Lídia Farré e Libertad Gonzalez mostra come in Spagna l’introduzione di questo strumento per due settimane abbia apportato cambiamenti rilevanti nella divisione delle responsabilità domestiche tra uomo e donna. Eppure, un padre che cambia il pannolino al figlio continua a essere definito un “mammo”.