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Esclusiva

Maggio 8 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Maggio 10 2020
Nient’altro che la verità

Le parole del filosofo Telmo Pievani e del professor Michele Sorice, esperto in comunicazione, ripercorrono le contraddizioni più significative all’interno del dibattito scientifico su COVID-19

«Il Coronavirus è un prodotto di laboratorio». Luc Montagnier, Nobel per la medicina nel 2008, è convinto che la pandemia sia il frutto di una manipolazione genetica sfuggita a un gruppo di ricercatori cinesi, a Wuhan. I colleghi del medico francese non hanno approvato e hanno preso le distanze dall’affermazione.

Secondo il professor Telmo Pievani, filosofo della scienza, siamo di fronte all’ennesima fake news, resa insidiosa da una fonte autorevole. «In questi casi è un disastro e il danno irreversibile. Montagnier cita un articolo prima smentito e poi ritirato una settimana dopo la pubblicazione. E’stato verificato, infatti, che la sequenza genetica di SARS-CoV-2 deriva dagli animali. Quindi, a meno che i cinesi non abbiano nascosto un’intera linea di virus ingegnerizzati, il microrganismo non può esser nato in provetta. Chi ha riportato le sue parole non ha controllato le fonti. Il premio Nobel ha un valore simbolico notevole, che il pubblico percepisce e traduce in fiducia. Si tratta, però, di una questione ricorrente nel mondo della ricerca: c’è lo specialista che vuole visibilità, che desidera essere anticonformista, anti establishment, eterodosso. È vero che nel dibattito scientifico il dissenso genera dialettica, ma servono le prove». 

Un altro esempio è quello di Robert Gallo. Per il medico statunitense è inutile aspettare con ansia l’arrivo di un vaccino, perché già esiste: è quello contro la poliomielite, ideato da Albert Sabin nel 1955. Come dichiarato in una recente intervista al quotidiano La Repubblica, il direttore dell’Institute of Human Virology dell’Università del Maryland è disposto a «giocarsi la carriera». La profilassi contro la malattia infettiva che colpisce il sistema nervoso centrale potrebbe abbassare la curva dell’attuale pandemia, in attesa di uno specifico rimedio contro SARS-CoV-2. La chiave sarebbe il genoma a RNA, presente in entrambi i virus. Inoltre è un farmaco conosciuto, sicuro e che può essere somministrato per bocca. 

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Lo scienziato Robert Gallo

È comprensibile come tale notizia, una volta diffusa, sia difficile da rettificare senza che si crei confusione. Spesso i lettori si affidano alle opinioni degli specialisti, pendendo dalle labbra di un virologo che possa spiegare in parole semplici la situazione. Ma rischiano di trovare solo incoerenze. 

Pievani è critico al riguardo: «il metodo scientifico è complesso da comunicare. È controintuitivo, perché si basa su tentativi ed errori, su un’incertezza di fondo che rende le previsioni problematiche. Però non giustifico l’atteggiamento degli esperti delle ultime settimane. Non sono stati trasparenti, gli è mancato il coraggio di dire ‘non lo so’, in assenza di prove certe»

Lo testimonia il caso delle mascherine, ancora dibattuto: servono o non servono? Walter Ricciardi, membro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e consigliere del ministro della Salute Speranza, sembrava sicuro lo scorso 25 febbraio in conferenza stampa: «Non sono utili alle persone sane, ma solo a quelle malate per non diffondere il virus». Ad oggi, le linee guida OMS ne ribadiscono l’uso per gli operatori sanitari e gli asintomatici che assistono un paziente affetto da Covid-19. Anche Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, il 31 gennaio sosteneva che i dispositivi di protezione individuali non fossero necessari in assenza di malattia. Negli ultimi giorni, tuttavia, il medico ha consigliato di indossare le mascherine anche all’aperto «qualora non fosse stato possibile il distanziamento sociale». Dall’inutilità al «più formidabile strumento contro la diffusione del contagio», per citare Paolo De Paolis, presidente della Società Italiana di Chirurgia, come dichiarato in un video selfie diffuso da Rep.tv.

Secondo Pievani, quando si affronta questo tema, bisogna tenere conto dell’assoluta particolarità della pandemia. «È un virus nuovo, che ancora oggi non comprendiamo fino in fondo. L’OMS ha fatto diversi errori di comunicazione, forse perché troppo orientata dagli interessi geopolitici. Ma c’è stato anche un problema strutturale: la difficoltà nel reperire informazioni su Covid-19, soprattutto nelle fasi iniziali. Rivolgersi solo ai ministeri dei vari stati è un processo farraginoso, perché arrivano informazioni diverse e parziali. Risultato: gli scienziati italiani che difendevano a tutti i costi le dichiarazioni dell’OMS sono stati smentiti. Nella comunità scientifica in molti sostengono che l’OMS andrebbe riformata. Il nostro Paese poi è orfano di un ente di riferimento scientifico, come la National Science Foundation americana o la Royal Society del Regno Unito. Da noi il singolo giornalista è costretto a passare per un ufficio stampa e interpellare la figura che preferisce».

E dov’è finita la cautela nel pronunciare diagnosi e prognosi a cui il mondo medico ci aveva abituato? È opinione del filosofo che si sia persa nelle diatribe a colpi di tweet o tra le chiacchiere di un talk show. «I social e i nostri siti web sono strumenti di comunicazione informali, in cui ognuno esprime opinioni personali. Lo scienziato con un ruolo pubblico deve stare attento in questi contesti. Le persone hanno bisogno di un’informazione istituzionale e il dibattito dovrebbe avere regole diverse dalle arringhe mediatiche: la partenza dai dati, la contrapposizione con altri e i successivi esperimenti. Se due esperti si insultano, emerge un’immagine deleteria della scienza. Molti colleghi pensano che la comunicazione sia un passatempo da ricercatore in pensione, perché c’è uno stereotipo che considera meno preparato chi è bravo a informare»

Non solo mascherine. Il teatro del dibattito scientifico ha visto anche “l’invasione degli anticorpi”. Non si tratta della parodia di un celebre film del 1956 diretto da Don Siegel, ma di uno degli argomenti più discussi. Il nostro organismo reagisce contro Sars Cov-2, proteggendoci da un’eventuale reinfezione? Si, secondo uno studio cinese, condotto dalla Chongqing Medical University e pubblicato il 29 aprile sulla rivista scientifica Nature Medicine. Il progetto di ricerca ha evidenziato che 285 pazienti affetti da COVID-19 hanno sviluppato entro 19 giorni l’immunoglobulina G (IgG), l’anticorpo dell’immunità a lungo termine. Anche in questo caso, le reazioni della comunità scientifica non sono state univoche. Il virologo Roberto Burioni ha twittato la propria soddisfazione. L’immunologo Guido Silvestri, l’ha addirittura definita “una megapillola di ottimismo”. Più cauto si è dimostrato l’epidemiologo e componente del Comitato tecnico scientifico Giovanni Rezza, durante la conferenza stampa nella sede dell’Istituto Superiore di Sanità del 30 aprile. I dati, infatti, lasciano ben sperare, ma il lavoro mostra alcuni limiti: il campione ristretto, la difficoltà nel correlare sintomatologia e risposta immunitaria e, soprattutto, l’assenza di test per valutare la capacità neutralizzante degli anticorpi. 

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Il tweet di Roberto Burioni alla notizia degli anticorpi

Le dispute non riguardano solo l’Italia, come nel caso del Remdesivir. In data 1 maggio la Food and Drug Administration (l’ente governativo degli Stati Uniti che regola la distribuzione dei prodotti alimentari e dei farmaci) e l’Agenzia europea dei medicinali (EMA) ne hanno accelerato le procedure di utilizzo. Sviluppato contro l’epidemia di virus Ebola, che dal 2103 al 2016 aveva colpito l’Africa Occidentale, inibisce la RNA polimerasi RNA dipendente, la proteina che consente al microrganismo di replicarsi all’interno della cellula ospite. L’efficacia riscontrata in laboratorio contro gli agenti virali responsabili di MERS e SARS, ha spinto gli scienziati dell’University of Nebraska Medical Center di Omaha a valutare l’impatto su SARS-CoV-2. Iniziata a fine febbraio, si è trattato della prima sperimentazione clinica sul territorio nazionale per studiare una cura contro COVID-19. È stata sponsorizzata dall’Istituto Nazionale di Allergie e Malattie Infettive, parte del Dipartimento della Salute degli Stati Uniti. Secondo il suo direttore, l’immunologo Anthony Fauci, il medicinale si è dimostrato in grado di accelerare la guarigione dei pazienti COVID-19 più critici. Al contrario, uno studio cinese, apparso lo scorso 29 aprile sulla rivista medica inglese The Lancet, non ritiene che alla somministrazione del Remdesivir si associno significativi benefici clinici. 

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L’immunologo Anthony Fauci

«È comprensibile che i medici non padroneggino l’uso delle strategie di comunicazione. Piuttosto, credo che siano stati tirati per la giacchetta dall’opinione pubblica in cerca di risposte. Eppure, neanche i media riescono a riassumere in maniera corretta informazioni complesse, piene di tecnicismi», afferma Michele Sorice, esperto di comunicazione politica e professore di innovazione Democratica e Sociologia politica alla Luiss. «La mancata conoscenza della comunicazione di emergenza è un problema generale. La scienza non ha certezze su questo virus e le poche sicurezze vengono smentite dalla ricerca che progredisce. In più, vengono filtrate da un’informazione impreparata a gestire questo flusso. Ecco perché si crea disordine, fatto di notizie discordanti, a volte antitetiche. Senza dimenticarci che è una situazione nuova per tutti».