«Mia madre insegnò a noi figlie un suo codice etico. Ci diceva: “Siate indipendenti economicamente e poi fate quello che volete, il marito lo tenete o lo mollate o ve ne trovate un altro. L’importante è che non dobbiate chiedergli i soldi per le calze»: così aveva insegnato all’alba dei suoi 90 anni Lidia Brisca Menapace ad un gruppo di giovani in visita ad una scuola superiore di Bolzano. E oggi che il mondo della politica progressista è in lutto queste parole risuonano più forti che mai a tutte le donne (e agli uomini) che hanno creduto nella sua spinta femminista, antifascista, antimilitarista, ambientalista fin dagli albori della sua esperienza pubblica nelle istituzioni italiane.
Bruna, questo il suo nome clandestino da staffetta partigiana 20enne in bicicletta, in un Alto Adige assediato dalle forze naziste. L’ansia di non farsi scoprire dai gerarchi, la tessera del pane, lo studio durante il coprifuoco, i messaggi in codice e i giornali clandestini: Lidia Menapace non ha mai dimenticato la tragedia della guerra, una costante nel suo lavoro di giornalista, attivista, senatrice. L’ha combattuta in ogni modo la guerra, raccontandola nelle scuole, nelle parrocchie, nelle università, gridando il dissenso alle armi nelle strade del ’68, fino ad arrivare alla mancata presidenza della Commissione Difesa del Senato nel 2006, per un pugno di voti, dopo essersi espressa contraria alla tradizione delle Frecce Tricolori sui cieli di Roma.
Cattolica progressista, iscritta alla FUCI (Federazione Universitaria Cattolici Italiana) con l’esempio di Aldo Moro, docente di Lettere all’Università Cattolica di Milano, ma bandita da quest’ultima per un discorso pubblico intitolato “La mia scelta marxista”. Non ha resistito al fascino della creazione di un nuovo giornale con la compagna Rossana Rossanda, il Manifesto, che le costerà l’addio alla DC, che dieci anni prima l’aveva portata ad essere la prima donna eletta in un consiglio provinciale, diventando assessora alla Sanità a Bolzano. Come dirà in seguito, Menapace continua a definirsi cristiana e comunista, rivendicando il “socialismo evangelico” che la porterà ad essere nel 1973 tra i promotori del movimento dei Cristiani per il Socialismo, quando era ancora tabù parlare di dialogo interconfessionale e unità di intenti tra fedi diverse. Fu l’amore per l’ambiente che la riavvicinerà nel 2015 alla Chiesa cattolica, con la pubblicazione dell’enciclica Laudato Sì di Papa Francesco, che pone la natura al centro della lotta dei cristiani del terzo millennio per un mondo diverso.
«Con Lidia Menapace muore un pezzo della mia biografia politica, e della vita di tanti di noi che abbiamo creduto nel potere del cambiamento del ‘68», dice a Zeta Mauro Paissan, cofondatore de il Manifesto, che di quegli anni bollenti ha condiviso con Menapace quasi tutto: «Quando mi sono trasferito a Roma per entrare nella redazione de il Manifesto abbiamo vissuto nella stessa casa, come si usava allora tra “compagni” che avevano lo stesso orientamento politico. Erano le “comuni”, qualcosa che oggi non esiste più, spazi in cui pubblico e privato si fondevano, luoghi per condividere vita e idee».
«Lidia era una combattente, vera. Il suo volto dolcissimo si accompagnava ad una risolutezza, una lucidità e un’onestà di pensiero straordinarie. Sempre in prima linea nelle battaglie per i diritti, l’uguaglianza, la pace. La Resistenza ne ha segnato il ragionamento e lo spirito, l’intera vita, personale e politica, rendendola una figura esemplare che resterà attuale, per sempre», ha detto a Zeta Laura Boldrini, deputata del Partito democratico, già Presidente della Camera dal 2013 al 2018. Numerosi i comunicati e i messaggi di cordoglio arrivati da tutte le correnti della sinistra italiana, vecchia e nuova, soprattutto quella che ha al cuore dell’azione i diritti civili, da Zingaretti a Franceschini, passando per Veltroni, Cirinnà e Zanda. Fino ad arrivare all’ANPI, l’associazione dei Partigiani italiani, nella quale Menapace ha canalizzato gran parte delle sue lotte politiche.
«I valori che Lidia Menapace ha coltivato e ricercato nella sua vita» – ha scritto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un messaggio ufficiale – «antifascismo, libertà, democrazia, pace, uguaglianza, sono quelli fatti propri dalla Costituzione italiana e costituiscono un insegnamento per le giovani generazioni». Ed è proprio alla Costituzione, repubblicana e antifascista, che Lidia Menapace ha dedicato i suoi sforzi umani più intensi, da giovane staffetta partigiana fino a voce anziana di una 96enne che non si è mai negata alle testimonianze pubbliche per condividere la sua idea di libertà. “Lidia is resisting”, Lidia resiste, scrisse nel 1944 in un comunicato segreto su un pezzo di carta il generale americano Alexander, comandante delle forze alleate in Nord Italia. “La lotta non finisce mai”, ha ripetuto Lidia lo scorso 25 aprile, in una delle sue ultime apparizioni pubbliche, prima che il coronavirus portasse via anche lei.