Non si placa la polemica sul Mes. Mercoledì 9 dicembre il Parlamento voterà la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (o Fondo salva-Stati) dopo il via libera del 30 novembre dei ministri delle Finanze dei Paesi dell’Eurozona (i 19 Stati che adottano l’Euro come valuta ufficiale). L’accordo dell’Eurogruppo, reso possibile anche grazie all’appoggio dell’Italia, ha creato una spaccatura in seno al MoVimento 5 Stelle, che da anni fa dell’ostilità allo strumento un cavallo di battaglia. «È come non voler dare i soldi ai pompieri per paura che al posto dell’edificio distrutto dalle fiamme costruiscano una centrale nucleare», commenta una fonte vicina al Mes che vuole restare anonima. Perché allora questa ostilità? «È ideologica. Un portoghese o un greco, per esempio, ti direbbero che questo strumento ha permesso loro di recuperare competitività e fare riforme importanti», continua la fonte. Ma c’è dell’altro: «Non è nemmeno vero che fa aumentare il debito, anzi: lo si sostituisce con uno che costa meno. Le spese per contrastare un’eventuale terza ondata andranno sostenute in ogni caso: da qualche parte i fondi per aiutare la sanità vanno presi, quindi meglio farlo a tassi vantaggiosi».
Occhi puntati quindi su Giuseppe Conte: i parlamentari italiani dovranno scegliere se sostenere o meno la posizione del governo. E il timore è che al Presidente del Consiglio possa mancare proprio il supporto dei pentastellati: 16 senatori e 52 deputati hanno già annunciato il loro “no”. Occorre precisare che il voto di mercoledì non riguarderà l’attivazione del Meccanismo da parte dell’Italia, ma solo il merito del testo approvato in sede europea. In altre parole, anche se la riforma dovesse passare, non vincolerebbe in alcun modo Roma a usufruire dei fondi. Ma in cosa consiste oggi il Fondo salva-Stati?
Il Mes prima della pandemia
Il Meccanismo europeo di stabilità nacque nel luglio 2012 in risposta alla crisi del debito sovrano dell’area euro, che tra il 2010 e il 2014 aveva messo in ginocchio le sue economie avanzate, vittime di un aumento vertiginoso del rapporto tra debito pubblico e Prodotto interno lordo (Pil), parametro fondamentale della stabilità economica. Le istituzioni europee avvertirono la necessità di uno strumento a carattere permanente capace di «concedere, sotto precise condizioni, assistenza finanziaria ai Paesi membri che trovino temporanee difficoltà nel finanziarsi sul mercato». Il Mes, appunto. Il Fondo venne dotato di una capacità di 700 miliardi di euro, raccolti sulla base dei contributi dei singoli Stati membri e ripartiti secondo le quote di partecipazione di ognuno al capitale della Banca centrale europea (Bce).
I Paesi più grandi, come Germania, Italia e Francia, versano più risorse di quanto non facciano Cipro, Malta e Slovenia. Nel caso di Roma, si tratta di 14 miliardi di euro trasferiti, a fronte di 125 miliardi richiamabili ove necessario. Dei 700 miliardi di cui disponeva il Mes, infatti, solo 80 erano versati dai Paesi membri: i rimanenti 620 sarebbero stati raccolti sui mercati, in caso di necessità, attraverso emissioni obbligazionarie.
Se in difficoltà, un Paese membro avrebbe potuto richiedere assistenza finanziaria, dando inizio all’iter di negoziazione. E poiché in termini giuridici il Meccanismo si configura come un’impresa pubblica (nello specifico, una società di diritto lussemburghese) il procedimento venne pensato per essere il più rapido ed efficiente possibile. L’assistenza era garantita solo se ritenuta indispensabile per difendere l’equilibrio finanziario dell’Eurozona e degli Stati aderenti al Mes. In questo caso, il Fondo avrebbe emesso prestiti a tassi fissi o variabili e acquistato titoli sul mercato primario, in cambio del rispetto di alcuni obblighi (condizionalità) divisi in tre aree: consolidamento fiscale, riforme strutturali, riforme del settore finanziario.
Il Mes dopo la pandemia
Anche il Fondo salva-Stati ha risentito del nuovo Coronavirus Sars-Cov-2. In particolare, sul tema delle condizionalità. L’emergenza sanitaria in corso e la conseguente crisi economica non sono imputabili a specifici comportamenti di politica economica: i Paesi stavolta non hanno colpe. Le istituzioni europee lo sanno, per questo decidono di eliminare alcuni vincoli alla concessione di prestiti da parte del Mes. «Anche in questo caso, non è chiara l’avversione dei Cinque Stelle allo strumento. Oggi l’unica clausola è l’impiego delle sue risorse per sostenere spese sanitarie dirette e indirette utili a contrastare il Covid-19» prosegue la fonte. I prestiti del Meccanismo potranno coprire non solo l’aumento dei posti letto nelle terapie intensive, i costi sanitari e le assunzioni di ulteriori medici e infermieri; ma anche tutto ciò che concerne ospedali, ambulatori, misure di prevenzione, farmaci e in generale l’amministrazione sanitaria.
Quali sono le principali novità rispetto al Mes pre-pandemia? In base alla riforma approvata dall’Eurogruppo, lo strumento dovrà fungere da backstop rispetto al Fondo di risoluzione unico (Fsr), nato per sostenere le banche in dissesto e finanziato dai Paesi dell’area Euro. Cosa significa? Che se le risorse dell’Fsr finissero, il Meccanismo potrebbe prendere il suo posto in via residuale, prestando fino a 55 miliardi di euro. «L’Fsr in questo momento è come un adolescente che ha belle idee per il futuro, che ha già avuto l’approvazione per andare all’università all’estero ma non ha i soldi per farlo. Il Mes è lo zio d’America che gli anticipa i soldi per studiare. Per accelerare i tempi di reazione, visto che il Fondo salva-Stati esiste già e può fare emissioni poderose, si crea uno strumento che, nel caso di una crisi bancaria, sia in grado di fornire una risposta repentina. Siccome l’Fsr è garantito da tutte le banche europee, allora il Mes può prestare soldi a fronte di un rischio poco elevato. E questo consente al Fondo di risoluzione unico di diventare subito operativo» spiega la fonte.
Il Meccanismo assumerà poi un ruolo di prim’ordine nella governance europea futura: nel decidere se fornire o meno assistenza finanziaria a un Paese, Bruxelles non potrà ignorare il parere di Lussemburgo (dove ha sede l’organismo). In caso di ristrutturazione di un debito pubblico, inoltre, lo strumento potrà mediare tra Paesi e investitori privati. Oltre a ciò, è prevista una rinegoziazione degli strumenti a sua disposizione per sostenere un membro in difficoltà. Tra le modifiche più discusse, infine, c’è quella relativa alle cosiddette “clausole di azione collettiva” (Cacs): semplificando, se il debito pubblico di uno Stato diventasse insostenibile, i detentori dei titoli di questo debito potrebbero con una votazione a maggioranza (e non più doppia) richiederne la ristrutturazione.
Con un sì in aula mercoledì, l’Italia si terrebbe aperta l’opportunità di ottenere circa 36 miliardi di euro. “Pochi, maledetti e subito”. E disponibili prima dei 209 miliardi del Next Generation Eu, il piano per la ripresa economica europea, oggi ancora ostaggio dei veti incrociati di Polonia e Ungheria. Poter usare o meno quei 36 miliardi dipende solo da Montecitorio. Due appuntamenti attendono l’esecutivo: l’incontro dei capi di Stato e di governo dell’Ue nel Consiglio europeo del 10 dicembre; il Vertice Euro dei leader politici dell’Eurozona il giorno seguente. Quale sarà la risposta di Roma a Bruxelles?