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Esclusiva

Dicembre 31 2020
Zaza e Simone, Le Inseparabili

Dopo sessantasei anni, Ponte alle Grazie pubblica il racconto romanzato di Simone de Beauvoir sull’amicizia speciale con Élisabeth Lacoin

Al momento del ritratto di famiglia, i nove figli Lacoin vengono ordinati in base all’età, le sei fanciulle indossano la stessa uniforme di taffetà blu e un copricapo abbellito da fiordalisi. Gli sguardi fissi sul grande obiettivo fotografico che le immortala. C’è posto anche per Élisabeth, la più piccola. Un posto deciso da tempo, da prima che nascesse: l’ultimo. Simone de Beauvoir, scrittrice, pensatrice e filosofa femminista francese del Novecento, detesterà quella fotografia: la “sua” Zaza appare una tra tante ragazzine, lei, che invece era «l’unica».

È il 1954 quando l’autrice de Il secondo sesso scrive la novella, poi titolata Le inseparabili, rimasta inedita per 66 anni. Qui Simone è Sylvie, Élisabeth è Andrée. Il primo incontro tra le due avviene all’età di nove anni, alla scuola cattolica Adeline Desir di Parigi. Una mattina la giovane De Beauvoir entra in aula e nota che sullo sgabello accanto al suo è seduta una bambina mai vista prima. «È lei la prima della classe?» chiede la sconosciuta. La nuova arrivata si rivolge alle istitutrici con disinvoltura, franchezza e ironia, senza però mai scadere nell’impertinenza.

Simone ne è ammaliata e sviluppa una vera devozione per la precoce Élisabeth e presto le due diventano indivisibili. Non rinunceranno mai a darsi del “lei”, ma i dialoghi nello studio di Monsieur Lacoin si fanno più intimi. Quando l’amica manca da scuola per diversi mesi a causa del periodico pellegrinaggio a Lourdes organizzato dai genitori, De Beauvoir scopre la noia di giornate sempre uguali. «Vivere senza di lei non era vivere» dirà al suo ritorno. «Se lei morisse, che ne sarebbe di me?», ignara che la vita le avrebbe dato presto la risposta.

Zaza muore infatti il 25 novembre 1929, a neppure ventidue anni. A lungo il suo volto apparirà in sogno a Simone, «ingiallito sotto un cappellino rosa, guardandola con rimprovero». «Encefalite virale» recita il referto medico. Ma la scrittrice sa che le cause della sua morte hanno poco a che fare con la medicina. Prova a ridarle vita più volte grazie all’artificio letterario. Lo fa nella raccolta Lo spirituale un tempo e nel romanzo I Malandrini, ma nessuno dei due vede la pubblicazione. Le inseparabili sarà un momento catartico per la filosofa, che rievocherà ancora Élisabeth nel 1958 in Memorie di una ragazza perbene.

Un papà presidente della Lega dei padri di famiglie numerose; una madre figura di spicco nella parrocchia parigina di Saint-Thomas-d’Aquin; una sorella suora e un fratello prete; il viaggio annuale a Lourdes. A Zaza viene insegnato che il dovere di una ragazza è rinunciare alla vita attiva, che non c’è spazio per protagonismi e rivendicazioni. «Mamma non fa mai nulla per sé, passa la sua vita a prodigarsi» rivela a Simone, che non aveva mai visto il padre andare a messa e aveva già perso la fede.

Da qui, gli infiniti «doveri sociali», dalle commissioni più inutili alle visite mondane più noiose, che condannano la ragazza a una solitudine aspra, di cui sperimenta il male, mai le virtù: è sola, ma sempre circondata da persone. Non ha tempo per sé, per l’amica, per il suo amato violino, per gli studi. Desidera affermarsi, ma in quella pretesa le fanno avvertire il peccato. Durante il soggiorno estivo a Gagnepan, nel sud-ovest della Francia, si assesta dunque un colpo d’ascia a un piede. «Almeno in cambio ho ricevuto […] il permesso di non dover parlare e di non dovermi divertire» confessa alla sua «inseparabile».

«Mi avevano insegnato che bisogna volere bene a mamma e a papà nello stesso modo. Andrée non nascondeva di preferire la madre al padre» scrive De Beauvoir. Madame Lacoin è una donna fredda, ma la sua indifferenza non emerge subito: finché la figlia è piccola si mostra comprensiva, le permette di vedere Simone e di assaggiare la libertà. Poi Zaza cresce e a quindici anni viene allontanata dal suo primo amore, Bernard; a venti, le incertezze del suo adorato Pascal (nella realtà, il filosofo Maurice Merleau-Ponty) sulle nozze le attirano il biasimo della famiglia, che la costringe a lasciare la capitale per non cadere in «tentazione».

La giovane si strugge per la disapprovazione di coloro che più ama, la madre e Gesù, vorrebbe ma non può: è blasfemo anche solo desiderare. Braccata, si dimena: «Qual è la volontà di Dio? Che cosa si aspetta da lei?». Alla fine cede: «Tutta la mia infelicità sta nel fatto che non credo abbastanza […] Bisogna che creda nella mamma, in Pascal, in Dio: allora sentirò che non si detestano tra loro e che nessuno di loro mi vuole ferire». Parla a sé stessa, più che a Simone. Stremata, rinuncia a vedere l’amato e accetta di abbandonare Parigi. È l’atto finale, l’ultima punizione che si infligge e che le costerà la vita.

«Non siamo stati che strumenti nelle mani di Dio» sono le parole di Monsieur Lacoin dopo la morte della figlia. De Beauvoir parla di «crimine spiritualista»: a uccidere Zaza è stato il tentativo di una famiglia – e della società dominante – di spiritualizzare ciò che è terreno; i sensi di colpa per non riuscire a omologarsi a un modello di religiosità e devozione irreale; una fede che, alla fine, si rivela più forte in lei che nei suoi moralizzatori.

«Oscuramente capii che Andrée era morta soffocata da quel biancore. Prima di prendere il treno depositai sopra quei mazzi immacolati tre rose rosse». Per un’amica che va incontro alla morte, un’altra si apre alla vita. Simone diventerà una delle più influenti pensatrici femministe di sempre, soggettività e individualità femminile saranno i valori fondanti della sua opera. Quanto deve a Zaza delle sue convinzioni, quanto ha vissuto l’amica nelle sue parole?