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Esclusiva

Febbraio 2 2021
SOS BY, gli atleti bielorussi che combattono la dittatura

Intervista a Katsiaryna Snytsina, capitana della nazionale di basket femminile del Paese, fra le firmatarie del manifesto-denuncia contro il presidente Lukashenko, a capo del Comitato olimpico nazionale

Ad agosto erano 600, oggi più di duemila. Sono gli sportivi bielorussi che hanno aderito all’appello “SOS By” lanciato in rete la scorsa estate contro le politiche dittatoriali del presidente Lukashenko. Le violenze commesse dal governo prima e dopo le ultime politiche avevano già portato il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) a sospendere il Paese dalle prossime Olimpiadi di Tokyo, come per la Russia. Qualche giorno fa la notizia delle revoche anche per i mondiali di hockey sul ghiaccio e per la Coppa del mondo di pentathlon.

Gli atleti bielorussi potranno partecipare a Tokyo ma senza inno e sotto la bandiera olimpica, come successo a Rio col Kuwait. «Quando il tuo paese è in fiamme, quando i tuoi connazionali muoiono alle manifestazioni, quando i tuoi amici scompaiono e vieni a sapere che sono stati arrestati, quando vedi gente bisognosa di ogni cosa… vivi in una costante apprensione, col telefonino in mano a leggere notizie ogni mezz’ora».

SOS BY, gli atleti bielorussi che combattono la dittatura

La tensione di Katsiaryna Snytsina è la stessa di migliaia di bielorussi impauriti dalla ferocia punitiva della dittatura ma desiderosi di capovolgere l’ingiustizia raccontando al mondo ciò che lì accade. Come per la cestista Yelena Leuchanka, diventata uno dei personaggi simbolo della lotta al potere perché incarcerata per 15 giorni nelle prigioni di Okrestina, a Minsk. L’attaccante della nazionale di basket ha raccontato di essere stata privata di un materasso per tutto il periodo e di aver dormito su fredde sbarre di metallo, in isolamento, senza acqua calda né ore d’aria.

«Durante gli allenamenti la testa si stacca da quello che sta succedendo, il cervello fa un reload. Dopo prendo fra le mani il telefono e cerco di aiutare le persone che si rivolgono a me. C’è chi ha bisogno di sostegno morale, chi di informazioni. Continuo così già da più di sei mesi». L’International Ice Hokey Federation (IIHF) ha deciso di revocare i campionati del mondo che si sarebbero dovuti svolgere in Bielorussia fra maggio e giugno 2021 ma che, dopo la visita del presidente della IIHF, René Fasel, ad Aleksandr Lukashenko, saranno probabilmente disputati a Riga, in Lettonia.

SOS BY, gli atleti bielorussi che combattono la dittatura

L’ondata di indignazione sui social è stata così ampia che anche gli sponsor principali dell’IIHF sono stati invasi da richieste di ascolto: a Nivea, Tissot, Skoda, Liqui Moly, Raiffeisen Bank e Pirelli è stato fatto notare che lasciare lì la competizione avrebbe significato fare da sponsor a un regime dittatoriale. Anche a Milano, i rappresentanti dell’Associazione Bielorussi in Italia, “Supolka”, si sono recati presso la sede legale di Pirelli, per tenere un presidio.

«Io non ho subito repressioni finora, ma moltissimi atleti sì, alcuni sono stati licenziati, altri non ammessi alle gare a causa della loro posizione civile, altri ancora hanno scontato la reclusione in carcere, ma quasi nessuno ha revocato la firma sotto il nostro appello, nonostante le forti pressioni esterne», continua Katsiaryna. Come detto, non tutti hanno avuto la sua stessa fortuna. Alexey Kudin, atleta bielorusso di 35 anni e campione mondiale di Muay Thai, rischia oggi fino a 5 anni di carcere in regime di torture.

Il 10 agosto 2020 Alexey aveva partecipato alla protesta pacifica contro i brogli elettorali nella città di Molodechno, regione di Minsk. Durante l’arresto gli hanno sparato, lo hanno picchiato ed infine è stato trattenuto in cella per due settimane prima di passare agli arresti domiciliari. Ma Alexey non si è presentato all’udienza che doveva tenersi il 19 novembre, preferendo scappare in Russia e sperando nell’asilo politico. Il governo di Putin lo ha però bloccato e incarcerato fino a marzo, quando si deciderà per la sua estradizione.

«Mi sento una persona libera in una situazione difficile. Sento pressione perché non sappiamo con certezza quando arriverà la vittoria, questa battaglia si è trasformata in una maratona. Sento una responsabilità nei confronti del mio popolo, delle persone che sosteniamo con le nostre azioni, di quelle che vedono noi atleti non mollare. Ci siamo messi spalla a spalla con queste persone, la forte pressione ci motiva a continuare la lotta». La Bielorussia è sotto la feroce guida di Lukashenko dal 1994 e per questo viene chiamata “l’ultima dittatura d’Europa”.

Negli ultimi mesi però le proteste si sono accese in tutto il Paese portando a 220 il numero dei prigionieri politici a oggi detenuti e oltre mille i carcerati per motivi legati al dissenso politico. 33mila i totali fermati, oltre 900 i procedimenti penali a carico di chi ha manifestato. Il regime osteggia anche il colore bianco, simbolo dei pacifisti che invece ripudiano il rosso della bandiera e ne riconoscono una propria. È difatti vietato manifestare con vessilli che richiamino a tale autoproclamata “indipendenza”. «Vedo delle persone incredibili unite dallo stesso obiettivo: diventare una nazione libera, riconquistare i diritti civili, far sentire la voce del popolo. Stiamo combattendo per questo tutti insieme, tutti i giorni. Le persone vengono arrestate perché indossano pantaloni bianchi, perché hanno lasciato un commento in Internet, perché portano fiori ai caduti di questa lotta. Alla fine della stagione sportiva, dalla Turchia tornerò in Bielorussia: non posso negare la paura, ma è il mio Paese, dove voglio vivere ed essere felice, e come si evolveranno le cose, lo vedremo…».

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