«Non c’è una risposta comunitaria e globale a Sars-CoV-2, e questo costa un alto numero di vite umane. Ecco perché lo scorso anno l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha fatto appello a una solidarietà collettiva per combattere la pandemia. Covid-19 ha mostrato in maniera chiara le disuguaglianze che sono presenti tra le nazioni e al loro interno».
A lanciare l’allarme è Tedros Adhanom Ghebreyesus, dal 2017 direttore generale dell’Oms, che sottolinea come il problema coinvolga l’unico antidoto al virus: «Il vaccino sta evidenziando una disparità nel numero di dosi. Non sono disponibili per Paesi o classi meno abbienti, manca una distribuzione equa. Ecco perché abbiamo chiesto che nei primi cento giorni dell’anno – e in tutte le nazioni del mondo – si concretizzi la campagna di profilassi a favore dei lavoratori della sanità e dei più anziani. Se non cambiamo atteggiamento, resteremo fermi, ad affrontare sempre le stesse sfide».
Laurea in biologia e specializzazione in Immunologia delle Malattie Infettive, lo scorso 2 febbraio il funzionario etiope è intervenuto a un meeting virtuale su Zoom, dal titolo “One year Later: Global Health Lessons from 2020”. Organizzatore il Council on Foreign Relations (CFR), istituto statunitense di ricerca specializzato in politica estera e affari internazionali. Niente tamponi, anticorpi monoclonali o quadri clinici, ma una discussione su come la pandemia abbia cambiato la concezione della salute e influenzato ogni aspetto delle nostre vite, facendo emergere incongruenze e disparità. L’occasione è quella giusta: il primo anniversario dalla nascita di Think Global Health, sito web del CFR che si occupa di questioni sanitarie critiche a livello mondiale, grazie all’intervento di scienziati, economisti e accademici. È il presidente a presentare l’incontro, il diplomatico statunitense Richard Nathan Haass. A moderare c’è la dottoressa Margaret “Peggy” Hamburg, politico e medico internista, membro del CFR e dal 2009 al 2015 commissario della Food and Drug Administration, l’ente governativo americano che si occupa di regolamentare i prodotti alimentari e farmaceutici.
Primo relatore è Tom Bollyky, direttore del programma Global Health e senior fellow per la salute globale, l’economia e lo sviluppo presso il Council on Foreign Relations. Ma anche docente a Georgetown University di Washington, l’ateneo cattolico più antico della nazione. È lui a ricordare alcuni numeri legati a Covid-19: oltre due milioni di vite in tutto il mondo, 20 trilioni di dollari di danni economici. Per non parlare dello stop a matrimoni, funerali e delle tante ore di scuola perse dai ragazzi. E poi Stati Uniti, Gran Bretagna, Europa, Cina, Israele, che possiedono l’84% dei vaccini somministrati nel mondo. Basti pensare che tra i Paesi a basso reddito solo la Guinea ha iniziato la campagna di profilassi. «L’ultimo anno ci ha lasciato una grande esperienza – afferma Bollyky -. Speriamo di trasformarla in risorsa di fronte a minacce future».
Qualche minuto più tardi è il turno di Christopher Murray, ricercatore americano in salute globale e pubblica presso l’Università di Washington, a Seattle, e direttore dell’Institute for Health Metrics and Evaluation. Da trent’anni al lavoro per sviluppare teorie e metodi che misurino l’impatto delle malattie in tutto il mondo. Il focus è sulla variante sudafricana di Sars-CoV-2, verso la quale il vaccino sviluppato da AstraZeneca sarebbe efficace solo al 10%, come riportano le ultime pubblicazioni scientifiche. «Potrebbe diventare un “super virus” e provocare un’infezione stagionale, con un tasso di mortalità fino a dieci volte più alto – ammette Murray-. Passeremo così più tempo a pensare ai sistemi sanitari che non funzionano e alla logistica di consegna dei vaccini nei Paesi a medio e basso reddito. Ci troveremo ad affrontare una versione cronica della pandemia, provando ad anticipare le mutazioni grazie a nuove piattaforme vaccinali. Determinanti saranno le tempistiche di consegna e la velocità con cui risponderemo ai cambiamenti del genoma».
Covid-19 che diventa occasione per parlare di disuguaglianze in tema di diritti umani, grazie all’intervento dell’ultimo relatore, la dottoressa Natalia Kamen, direttore esecutivo dell’UNFPA, fondo delle Nazioni Unite per la popolazione. Ente che ha un obiettivo preciso: “contribuire a creare un mondo dove ogni gravidanza sia desiderata, ogni nascita protetta e dove ogni giovane possa sviluppare il proprio potenziale”. «Ancora una volta persone anziane, di colore e con problemi di salute sono le categorie più colpite. Senza dimenticare l’aspetto femminile. Come sempre, durante le crisi i diritti delle donne non vengono salvaguardati. Un anno dopo il suo inizio, la pandemia è l’esempio più chiaro di un effetto sociale negativo».
L’emergenza sanitaria starebbe infatti rallentando gli interventi per porre fine ai matrimoni infantili, che spesso coinvolgono ragazze di dodici anni e sono molto frequenti: si prevedono 13 milioni nel prossimo decennio. Altro nodo le gravidanze indesiderate. A causa delle misure anti Covid, si stima un’aggiunta di 7 milioni ogni sei mesi. Motivo? Nei Paesi a reddito medio e basso diventa complesso accedere ai servizi di contraccezione. Per non parlare di un aumento della violenza di genere e della mortalità materna, in seguito a complicanze legate alla gestazione. «L’uguaglianza è ancora un sogno sfuggente – sostiene Kamen -. Chiunque dovrebbe indignarsi, perché con questo virus la minaccia per noi donne è ancora più grande».
I volti dei relatori sono sorridenti. Niente menzioni a linee guida, solo parole che richiamano unità di intenti e condivisione degli stessi principi. La salute globale deve essere una priorità, ovunque. È la stessa Kamen a ricordare l’insegnamento di Antonio Guterres – segretario generale dell’ONU – durante la conferenza su Nelson Mandela, ex attivista politico e presidente del Sud Africa: «Apparteniamo gli uni agli altri, o stiamo in piedi o cadiamo a pezzi».