1946. Non il 2 giugno ma la mattina del 10 marzo le donne andarono per la prima volta a votare alle prime elezioni amministrative dopo la Seconda guerra mondiale. Sono passati 75 anni. Solo 75 anni.
Certo, anche prima di quella data il femminismo c’era e anche senza possibilità di voto le donne partecipavano alla vita politica del paese, basta ricordare quanti passi femminili hanno attraversato le montagne della Resistenza, ma solo 75 anni fa l’Italia diede loro il proprio placet.
Non solo le donne potevano andare a votare, sempre meglio però se accompagnate dai mariti, ma potevano anche essere elette. «Colleghi consultori, nel vostro applauso ravviso un saluto per la donna che per la prima volta parla in quest’aula», diceva Angela Maria Guidi Cingolani durante la Consulta Nazionale del 1945, subito dopo l’approvazione del decreto per l’estensione di voto alle donne. «Parole gentili, molte ne abbiamo intese nei nostri riguardi, ma le prove concrete di fiducia in pubblici uffici non sono molte in verità».
Forse Enrico Letta vuole rispondere a Cingolani 75 anni dopo, abbracciando la lotta per la parità di genere nella rappresentanza politica che in Italia, si può dire, è ancora una giovane nonna dalle poche rughe? E abbracciando, nondimeno, quel “Codice Etico” e quel “Manifesto dei valori”, primi e costitutivi documenti del Partito Democratico, che professano l’uno «Le stesse opportunità in tutti i campi, compresa la politica» per le donne e l’altro «La democrazia paritaria come criterio di comportamento»?
Prima delle dichiarazioni di tre giorni fa sull’urgenza di due donne a capo dei gruppi parlamentari del partito, il neosegretario lo aveva già anticipato il 14 marzo nel suo discorso davanti all’Assemblea Nazionale del PD, quando affermava: «Lo stesso fatto che io sia qui, e non una segretaria donna, come avrebbe potuto essere il caso, dimostra che abbiamo un problema».
È vero, il PD ha un bel problema di rappresentanza femminile, non solo quantitativa ma anche qualitativa, e anche radicato nel tempo, dalle sue prime liste elettorali fino all’alone maschile che avvolge la stessa segreteria, alla quale si sono candidate nella storia del partito solo Rosy Bindi e Laura Puppato, entrambe senza successo, anzi invitate in modo non troppo velato a farsi da parte.
La brutta notizia è che il problema non ce l’ha solo il PD. La foto di gruppo del 2017 dell’appena nato Liberi e Uguali, per esempio, ritraeva soli uomini. Il sessismo non ha bandiere, è sia quello plateale e sguaiato della destra, sia quello ipocrita della sinistra.
Dopo 75 anni la strada per andare a votare le donne, anche se non tutte, la percorrono da sole, quella della rappresentanza politica no. Fino a che fare politica per le donne sarà solo una questione di spazio, fino a che sarà che “gli uomini devono lasciare spazio”, come se l’autorità fosse di default appannaggio maschile, fino a che non ci sarà una presa di coscienza sulla necessità di un potere non unilaterale, la sinistra continuerà ad avere il problema cui si riferisce Letta.
75 anni dopo, in una società in cui la binarietà del genere è sempre più fluida, non è più, solo, quel “problema”. Non è più che le donne devono fare politica insieme agli uomini come se questi per una qualche ragione risalente all’età della pietra si fossero già trovati a pontificare su un palco da comizio. La politica non è da fare insieme agli uomini, ma tutt* insieme.