Özlem ha paura. Non vuole che il suo nome vero compaia in questa intervista. Si prende qualche giorno prima di rispondere alle domande e alcune decide di non ascoltarle nemmeno. Vive a Istanbul, in una delle città più “moderne” della Turchia, dove essere donna non è più così sicuro.
«Non credo di essere libera e non mi sento nemmeno sicura. Esito anche a scrivere queste parole perché sono terrorizzata che vengano usate contro di me. Questa non è vera libertà». Sono le parole di una ragazza di 25 anni che tutti i giorni deve fare i conti con una società che la discrimina. La Turchia ha, da qualche settimana, deciso di abbandonare la Convenzione di Istanbul, un accordo internazionale sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Fu proprio il presidente Recep Tayyip Erdogan che, nel 2011 firmò questa Convenzione, ma ora la sua visione è cambiata.
Oggi le donne turche sono sempre meno tutelate dalla legge anche se, secondo il vicepresidente Fiat Oktay, questa decisione sarebbe arrivata per portare avanti la dignità delle donne e preservare il tessuto sociale e tradizionale turco. Secondo l’avvocata Kezban Hatemi, intervista da Yetkin Report, il prossimo bersaglio potrebbe essere addirittura il codice civile che equipara le donne agli uomini. «Non ci sarebbe da stupirsi se il prossimo passo fosse la cancellazione della legge 6248 sulla prevenzione delle violenze familiari» spiega l’esperta.
Alla base di tutto questo secondo Özlem c’è stata anche la campagna di discriminazione contro la comunità LGBTI+: «Il governo cerca di creare rabbia e odio contro di loro. Falsificano la comunità e la mostrano come un’organizzazione illegale, come un gruppo terroristico» spiega. «La legge purtroppo non protegge le donne e ogni volta si trova una falla che permette di assolvere chi pratica violenza» aggiunge Özlem.
Lei lavora nel mondo del cinema in un’azienda formata da sole donne e spiega che anche questo settore è dominato dagli uomini e lo spazio per loro è davvero poco. «Ci sono donne con talento che possono porre fine a questa situazione. Non solo lavorando di più, ma prendendosi cura l’una dell’altra e il movimento “Me too” è la nostra casa. In Turchia, grazie a ciò, più persone hanno potuto parlare delle loro brutte esperienze. Naturalmente abbiamo bisogno di creare più consapevolezza sulla situazione per evitare un futuro ancora più oscuro». Le donne turche sono sicuramente più potenti del passato, ma non per la legge, bensì per la solidarietà che si è creata tra di loro. Özlem ha insistito per far parlare anche Hafize (nome di fantasia), una giovane dottoressa che più di chiunque altro è riuscita a farsi strada nella società turca.
«Ho assistito a molti episodi di discriminazione. Ci sono persone che pensano che le donne non possano essere un medico. In Turchia sei esposta all’etichetta e spesso mi capita di intendere che le persone pensino segretamente che la donna faccia parte di una classe inferiore» spiega Hafize. Il nostro concetto di libertà è diverso da quello di queste donne e entrambe hanno voluto far sapere cosa significherebbe per loro essere davvero libere: «Essere una donna in Turchia significa essere un individuo emarginato e vivere nella paura. Non potersi esprimere porta al tradimento della propria essenza, a una degenerazione. Questa situazione influisce sulla tua vita quotidiana, influenza le tue relazioni e il tuo corpo. Viviamo tutti sotto una sorta di prigionia, ma ogni essere umano lotta per accettare la sua esistenza, per rivendicare la sua essenza: questa è libertà».
Le piazze delle principali città turche si sono riempite di bandiere viola, di cartelli contro la violenza di genere e i movimenti femministi non hanno intenzione di darsi per vinti. La società turca non può permettersi di essere vittima di questo estremismo e di queste continue discriminazioni. «Sono una donna e ci sono tante ingiustizie che non riesco più nemmeno a distinguere. Abbiamo così imparato ad assorbirle che non ce ne accorgiamo più. Questo però è il momento di cambiare il nostro destino» conclude Hafize.