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Esclusiva

Dicembre 28 2020
Ethos, la serie turca che ci dice “qualcosa di diverso”

Un dramma turco lento e sincero, una produzione Netflix che invita all’empatia e all’ascolto e a costruire un modo di esistere che contempla l’altro da sé

Una nuova serie di Netflix ha preso d’assalto la Turchia. L’uscita il 12 novembre di “Bir Başkadır”, intraducibile espressione turca per “qualcosa di particolare, di diverso” e tradotto come “Ethos”, che parimenti racchiude in sé ampi significati, da “modo di vivere” a “carattere, costume”, ha suscitato nel Paese un dibattito al vetriolo che ha coinvolto spettatori e critici affermati. Sina Kologlu, sul quotidiano Milliyet, ha messo in luce la sensibilità della serie nel guardare alle diverse realtà della società turca: “Identità etniche, il velo, laici versus conservatori, gay e transessuali – è tutto lì”, ha scritto. Altri critici invece muovono accuse di superficialità. Oray Egin, editorialista del quotidiano Haberturk, ha criticato la serie per la sua “visione orientalista” nei confronti dei conservatori e per aver costruito delle élite laiche stereotipate.

La discussione non si ferma, nemmeno a più di un mese di distanza dall’uscita dell’ultima produzione originale turca di Netflix. Finora il gigante dello streaming Global Agency ha prodotto uno spettacolo di supereroi in stile ottomano, un dramma adolescenziale e una commedia romantica. Eppure Ethos è – appunto – qualcosa di diverso. La trama si muove lenta e la cinematografia ricorda un film d’autore. Scritto e diretto da Berkun Oya, drammaturgo e sceneggiatore già noto per l’acclamata serie Masum del 2017, Ethos, con i suoi otto episodi, procede attraverso fitti dialoghi tra persone che provengono da mondi diversi. Tutti col proprio fardello di emozioni recondite e tutti in lotta coi propri pregiudizi e le proprie convinzioni che scontrandosi con l’altro e il diverso producono, non senza difficoltà, un indispensabile invito all’empatia e all’ascolto e alla costruzione di un nuovo modo di esistere insieme.

Ethos, la serie turca che ci dice “qualcosa di diverso”

Un elemento su cui tutti sembrano essere d’accordo è la forza della recitazione di Öykü Karayel nel ruolo della protagonista Meryem: una giovane coraggiosa e timida. La serie si apre con Meryem nello studio del suo psichiatra. Soffre di svenimenti ma le sue analisi sono perfette, così i medici le hanno consigliato di cercare il problema nella sua psiche. Meryem è una diplomata della scuola elementare di una famiglia conservatrice che vive nella periferia rurale di Istanbul. La sua terapista Peri proviene dal polo opposto della società turca: ricca, laica e con esperienze di studio all’estero. I pregiudizi di Peri nei confronti delle donne col velo, proprio come Meryem, emergono da subito.

Inizia così il primo asse tematico di Ethos: la divisione tra devoti e laici, conservatori e kemalisti. Se è vero che questa è una divisione usata nelle descrizioni straniere della Turchia come se fosse un indizio per capire tutto ciò che si deve sapere sul Paese, Ethos riprende il famoso divario mostrando come funziona nella vita di tutti i giorni. Nelle sedute di terapia di Peri con il suo supervisore Gülbin ammette di non potersi liberare dei pregiudizi nei confronti delle donne coperte. Sa che è sbagliato ma è piena di risentimento.

Ethos, la serie turca che ci dice “qualcosa di diverso”

Se Ethos fosse solo per i conservatori e i kemalisti, non andrebbe poi tanto in profondità. Ma la nostra eroina Meryem è un punto di incontro per anche per altre diverse dimensioni della Turchia di oggi. Un ricco e depresso playboy, una famiglia curda della classe media divisa da convinzioni politiche, un’attrice di soap opera, una sopravvissuta allo stupro, un ex soldato che lavora come buttafuori in un club, un hodja e la sua figlia gay. Storie interconnesse che offrono un panorama di un’intera società. Piuttosto che presentare questi diversi personaggi come tipi sociali, Ethos li disegna umani, in carne e ossa, capaci di soffrire e mostrarsi nelle loro debolezze. Sebbene Meryem sia al centro di tutte le narrazioni, la struttura caleidoscopica dello spettacolo non permette allo spettatore di identificarsi con uno solo dei personaggi.

Nonostante gli occhi di chi guarda siano anche quelli di spettatori occidentali, sembra che Ethos sia abbastanza universale da superare una contrapposizione così radicata e antica. Senza voler accostare tensioni sociali caratteristiche di ogni paese, con la propria storia ed evoluzione, chiunque nel corso della sua vita ha vestito i panni di una Meryem e di una Peri, ha incontrato quel “qualcosa di diverso” che Ethos cerca di tradurre, si è confrontato coi pregiudizi suoi quelli degli altri.

Per quanto la serie affronti temi reali, non è un documentario sulla Turchia del ventunesimo secolo. Se si vuole cercare un messaggio solo politico o di denuncia sociale, si resterà delusi. La forza di Ethos è minuta, risiede nei particolari. Alcuni dei momenti più potenti non hanno molto a che fare con la politica: un lenzuolo appeso ad asciugare al vento, una lunga inquadratura dello skyline di Istanbul piena di gru col sole che tramonta nel mare, un grande albero al centro della campagna.