Paolo Orlandini, detto Millo, 97 anni, ha combattuto come partigiano le truppe nazifasciste nelle Marche e nel Nord Italia, durante la Seconda guerra mondiale. Dalla sua casa di Ancona ci racconta cosa ha significato per lui lottare per la pace e traghettare il paese fuori dalla dittatura, contribuendo alla nascita della democrazia in Italia.
«La libertà di partecipare non è la cosa più bella, ma quella più giusta. Io ho vissuto il fascismo, so cosa significa stare zitti e buoni, essere obbligati ad andare ogni sabato alle adunate fasciste. Poi è arrivata la guerra, con il solo scopo di creare un ordine nuovo fatto di arresti, campi di concentramento, libri bruciati».
A vent’anni Paolo si unisce alla Resistenza, finendo alla guida di un gruppo formato da 640 giovani partigiani, con i quali combatte per la liberazione di Ancona e Osimo.
«Ero un istruttore militare, un ragazzo, e ho insegnato ai miei coetanei a fare il soldato. Avevo una grande responsabilità, di notte piangevo». Nell’inferno della guerra, perde il cugino e il cognato, trucidati dalle truppe nemiche.
Per Paolo c’è solo una parola in grado di descrivere il fascismo e spiegare la Resistenza: tradimento. Il regime ha tradito un’intera generazione, promettendo la pace ma spingendo alla fine un paese intero e la sua gioventù nel baratro del conflitto armato.
«Il fascismo mi ha insegnato a fare la guerra. Ma io l’ho fatta per liberarmi dalla dittatura. Sono stato in prima linea sempre».
Il 25 aprile di 76 anni fa, mentre il popolo del Nord Italia insorge contro le truppe nazifasciste, Paolo attraversa il Po con la sua divisione del Corpo Italiano di Liberazione. Un’ora e mezza prima della fine degli scontri viene ferito a un braccio. La notizia che la guerra è finita la riceve in un ospedale militare vicino Mestre, il 29 aprile.
All’una la radio dà la notizia, l’ospedale ‘esplode’, tutti gridano di gioia. I tedeschi hanno firmato l’armistizio, ricorda.
L’impegno politico e sociale di Paolo non si è mai esaurito, anzi si è trasformato in una continua militanza in difesa dei principi democratici e antifascisti. Trasmettere alle nuove generazioni i valori che lui stesso ha contribuito a forgiare per il paese è ormai parte integrante delle sue giornate.
«Sono andato spesso nelle scuole a parlare, anche ora mi collego in videoconferenza con i ragazzi. Cosa dico loro? Il mio appello è di non essere indifferenti ma differenti, come ci ha lasciato scritto Antonio Gramsci».
C’è speranza nelle sue parole, fiducia che il testimone della storia resterà in buone mani, che qualcuno continuerà a portare avanti le sue battaglie, a difendere la libertà dal neofascismo strisciante e a non darla mai per scontata.
«Gli altri, anche se sono pochi, si stanno muovendo, ci portano via la libertà. A noi, che siamo tanti, ci è costata tanti morti. I nostri morti, che non sono uguali ai loro. Dobbiamo evitare che i giovani ricadano nel pericolo del fascismo. Io sono vecchio ma voi, ragazzi, state all’erta!».
Paolo non esce quasi più di casa, le gambe sono diventate troppo fragili per sostenerlo. Ha fatto il vaccino contro il Covid, «un buco in più, un buco in meno, non succede niente, ne ho avuti di peggiori sulle braccia».
Come passerà il giorno della Liberazione? «Posso affacciarmi alla finestra e gridare ‘Viva il 25 aprile, viva la libertà’, di più non posso fare. Dopo pranzo mi guarderò un po’ di televisione, sperando che diano qualcosa di carino».