Attorno a lui il buio della prigione di Tora, sud del Cairo. Dentro, la consapevolezza di non essere solo. Fuori, la certezza di una piattaforma, di un porto sicuro pronto ad accoglierlo. Patrick Zaky è ancora in carcere. Ma per lo studente egiziano arrestato più di un anno fa con l’accusa di propaganda sovversiva ai danni del regime di al-Sisi, qualcosa si muove.
Lo scorso 14 aprile, infatti, con 208 voti a favore e nessun contrario, il Senato ha approvato la mozione che impegnerà l’esecutivo a conferire cittadinanza italiana a Zaky. Fra i 33 astenuti, le senatrici e i senatori di Fratelli d’Italia. Non solo. La mobilitazione si è subito spostata nei comuni, con diversi centri che hanno accolto lo stesso testo: «Pisa non è un caso isolato, c’è una staffetta per Patrick. Prima di noi c’erano state Bologna, poi Milano, Roma e Ferrara. Ora si attende anche Firenze. Ma sono molti altri i centri che si stanno muovendo. Si spera che il governo proceda rapidamente nonostante le prime dichiarazioni infauste di Mario Draghi.
Zaky poteva essere un nostro studente e potremmo essere tutti noi. Non riusciamo a capire cosa ancora aspetti l’Italia a ritirare il suo ambasciatore dall’Egitto. Così come per il commercio di armi, delle fregate di recente vendute. Non possiamo chiedere la scarcerazione di Zaky con la mano sinistra mentre con la destra stringiamo accordi», sottolinea Francesco Auletta, consigliere comunale a Pisa e propositore della mozione in assemblea.
Zaky, 29 anni, nella primavera 2018 era stato il manager della campagna presidenziale di Khaled Ali, oppositore dell’attuale presidente al-Sisi. È tutt’ora collaboratore dell’associazione Eipr (Egyptian initiative for personal rights) e a Bologna è iscritto al master Gemma, un corso in studi di genere dell’università Alma Mater. Elementi che hanno contribuito alle accuse di terrorismo e diffamazione da parte dello stato egiziano.
«Ho apprezzato le mozioni. Si è fatta richiesta al governo di utilizzare tutti gli strumenti previsti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro i reati di tortura e punizioni crudeli del 1984. Mi sembra che si voglia creare un solco, attivare un nuovo percorso diplomatico. Tutto ciò per noi dell’università è fondamentale e ne siamo davvero molto grati. Crediamo da sempre nel valore del popolo che si unisce per chiedere libertà, non solo di Patrick, ma per quanti sono in prigione ingiustamente», dice Rita Monticelli, direttrice del master Gemma.
La storia di Patrick Zaky non è infatti l’ultima in ordine di tempo che vede il governo di Al-Sisi protagonista di minacce e soprusi. Lo scorso 1 febbraio un altro studente egiziano, Ahmed Samir, è stato arrestato al rientro in patria con nessun tipo di accusa. Ahmed vive a Vienna, è ricercatore presso la Central European University. Cinque giorni dopo l’arresto è stato iscritto nel registro degli indagati per un’inchiesta in cui sarebbe coinvolto su “terrorismo, diffusione di notizie false e utilizzo di un account social per la diffamazione dell’Egitto”.
Anche Ahmed è nel carcere di Tora. La sua colpa, aver condotto ricerche su Islam e aborto. Durante l’udienza del 23 febbraio scorso ha riferito di essere tenuto in isolamento, in una cella fredda, senza possibilità di accesso né a indumenti né a biancheria da letto.
«Anche solo se per un valore simbolico, è un gesto che fa onore al Parlamento italiano. Quanto all’efficacia, è difficile dirlo. Il percorso è lungo e complicato. È necessario che si cessi questa lunga incoerenza sui diritti umani in Egitto: se otto giorni fa il Parlamento ha battuto un colpo, due giorni prima il governo aveva dato il via libera alla partenza della seconda fregata militare a loro destinata. Non si può parlare nei giorni pari di diritti umani, magari a bassa voce, e nei dispari portare avanti affari. Bisogna unire le forze. Penso all’Austria, con lo studente Ahmed Samir dell’università di Vienna, che a un anno di distanza rappresenta la storia gemella di Patrick Zaky», ribadisce Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.
‘Ci sono centinaia come Regeni. È una goccia dentro al mare’, ha di recente detto un ex agente segreto egiziano nell’ambito del processo sul sequestro e l’omicidio del ricercatore italiano, ucciso in una stanza del Ministero degli Interni egiziano nel 2016. Il testimone, denominato Epsilon, è indagato dalla Procura di Roma in nuovi verbali assieme ad altri due, anch’essi egiziani tenuti per protezione sotto anonimato.
«È difficile pesare l’impatto che possono avere tali iniziative. Ci sono cultori della realpolitik che sconsigliano azioni che possano indispettire i regimi. C’è chi invece come me pensa che manifestazioni e forme di pressione siano non solo doverose, ma preziose e utili per tenere accesa la luce. Patrick in cella ha notizia di tutto ciò, ma sconta un forte senso di solitudine e di sconcerto. C’è bisogno di responsabilità, che non vuole dire prudenza, cautela, ma essere capaci di rispondere davvero delle proprie azioni. Dobbiamo sentirlo, in tutto ciò che facciamo per lui», indica Filippo Sensi, deputato del Partito Democratico, fra i maggiori propositori della cittadinanza onoraria al ricercatore.
«Il mio stato mentale non sta molto bene dall’ultima udienza. Continuo a pensare all’università e all’anno che ho perso. Speravo di trascorrere le feste con la mia famiglia ma non accadrà per la seconda volta a causa della mia detenzione. Ho ancora problemi alla schiena e ho bisogno di un forte antidolorifico e di prodotti che mi aiutino a dormire meglio», scrive Patrick Zaky in una lettera dal carcere a dicembre 2020. Il 27 dello stesso mese gli fa visita la sorella: «Non sta bene, è molto angosciato per il suo futuro e per i suoi studi». Infine, lo scorso 24 aprile, riesce a vedere la madre e il padre dopo più di sei mesi dall’ultima volta: «Congratulazioni ai miei compagni che stanno per laurearsi».