«Lo Yemen è la pistola che la mano dell’Iran punta alla tempia dell’Arabia Saudita». Secondo Cinzia Bianco, Visiting Fellow presso lo European Council of Foreign Relations, dove si occupa di questioni politiche, economiche e di sicurezza nel Golfo, e analista per l’ISPI, gli incontri di inizio mese, a porte chiuse, nella capitale irachena Bagdad, tra Iran e Arabia Saudita, poggiano su un do ut des dai termini precisi.
I due paesi, leader delle due anime del Golfo Persico, rispettivamente sciita e sunnita, sono rivali da oltre quarant’anni e da quattro sono avversari anche sul suolo yemenita, dove i ribelli houthi conducono una guerra contro il potere centrale saudita, e nonostante professino un tipo di sciismo diverso da quello praticato in maggioranza in Iran, sul suo appoggio possono contare, non foss’altro perché il conflitto tiene occupata l’Arabia Saudita e ne limita le energie egemoniche.
«Ecco i termini del canale di comunicazione: l’Iran si impegna a trattenere gli attacchi houti, che dopo l’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti Joe Biden sono aumentati, non solo di quantità ma anche di qualità», spiega Bianco, «In cambio l’Arabia Saudita non deve intralciare l’accordo sul nucleare che a piccoli passi sta riavvicinando Teheran a Washington». Biden infatti cerca di rilanciare l’accordo nucleare che l’Iran ha firmato con le potenze mondiali nel 2015, il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), e dal quale nel 2018 Donald Trump si era ritirato generando tensioni.
Secondo il politologo francese Come Carpentier de Gourdon, analista di base in India ed esperto della geopolitica del Medio Oriente, anche l’amministrazione americana ha un ruolo nel possibile dialogo tra Iran e Arabia Saudita. «Trump aveva scommesso sul principe erede saudita Mohammad bin Salman per guidare una politica anti-iraniana», spiega Carpentier. Una politica filoisraeliana e anti-Qatar, paese che ha accordi solidi con l’Iran, culminata con l’uccisione del generale Qasem Soleimani a gennaio del 2020. «Biden reputa Bin Salman una figura molto problematica e considera invece l’Iran come un potenziale partner, anche in virtù della sua maggiore indipendenza economica e dei suoi accordi con Russia, Cina, Turchia e Pakistan».
Il dialogo tra i due paesi, secondo Carpentier, è l’unica opzione per un’Arabia Saudita sempre più indebolita dal conflitto in Yemen e dalle profonde divisioni all’interno della famiglia reale. «L’Arabia Saudita ha sempre avuto paura di essere dominata dall’Iran e fino all’arrivo di Biden aveva potuto contare sull’appoggio americano, adesso però deve trovare un altro modo per preservare il suo sistema di governo».
Non è la prima volta che tra i due paesi soffia un vento di dialogo. «È del settembre 2019 l’attacco a due stazioni petrolifere dell’Arabia Saudita», racconta Bianco. «I sauditi si aspettavano un intervento militare da parte degli Stati Uniti che però non è arrivato». Il dubbio sul sostegno americano fu la molla che a fine 2019 avvicinò l’Arabia Saudita all’Iran, «Mostrandosi aperti al dialogo avrebbero tenuto a freno l’aggressività iraniana, anche se la comunicazione non era diretta ma avveniva attraverso mediatori come Iraq e Pakistan». Con l’amministrazione Biden «L’Arabia Saudita rende ufficiale la sua propensione alla diplomazia per dimostrarla agli Stati Uniti e al mondo».
L’Iraq per la sua posizione geografica mediana tra i due grandi vicini si è sempre posto come paese mediatore. «Come primo interesse ha la sua stabilità nazionale, il conflitto tra Iran e Arabia Saudita miete vittime anche sul territorio iracheno» spiega Carpentier. «L’attenzione è maggiore adesso», aggiunge Bianco, «Perché tra poco in Iraq ci saranno le elezioni e per il primo ministro Mustafa Al-khadimi aver ricoperto un ruolo talmente delicato è un motivo di prestigio». A prescindere dal ruolo dell’amministrazione americana, l’accelerazione del dialogo tra Iran e Arabia Saudita si ritrova anche nelle dichiarazioni di disponibilità da parte del presidente iraniano Hassan Rouhani a raffreddare le rivalità con i sauditi prima della fine del suo ultimo mandato che termina ad agosto.