«Rientro a casa dopo il lavoro, apro la porta della cucina e vedo sul tavolo un tovagliolo con scritto “Per Francesca con affetto, Franco Battiato”. Mi sembra surreale, piango dalla gioia e corro ad abbracciare mio marito». Alla signora Francesca trema la voce raccontando il suo ricordo del cantautore siciliano.
Franco Battiato è morto nella sua casa di Milo, in provincia di Catania, all’età di 76 anni. Era malato da tempo, ma aveva sempre mantenuto riserbo sulle sue condizioni di salute. Oggi la notizia che ha rattristato il mondo della musica italiana. E non solo.
«Mio marito lavorava al Caffè Europa, uno dei bar più in vista di Catania. Fu lì che incontrò Battiato. Gli chiese una dedica per me in cambio di un cannolo. Mi sembra incredibile pensare che non ci sia più».
Francesca ha 58 anni, è una madre di famiglia. Non è domenica per lei senza un De Andrè o un De Gregori «Ma Battiato è stato il mio compagno di vita per 40 anni. La sua voce è stata in grado di raccontare emozioni e riflessioni sulla società, il legame con la patria e la dedizione per la famiglia, in modo puro e spirituale. Enfatizzava l’amore ma al tempo stesso lo rendeva terreno. Non scorderò mai la prima volta che l’ho visto in concerto il 28 agosto del 2016 a Viagrande, vicino Catania. Gli chiesi come riuscisse a scrivere di temi diversi in modo così unico. Rispose: «Non faccio nessuno sforzo, racconto solo le mie vibrazioni»
Marcella Pagano, nonna catanese di 86 anni, ricorda quando nel 1964 conobbe un giovane conterraneo con il sogno della musica, durante una diretta di Antenna Sicilia, all’epoca la più seguita emittente televisiva dell’isola: «Privo di superbia, educato e signorile. Uno di quegli artisti che non aspettava di essere accolto e salutato dai fan, era lui stesso a salutare per primo. Lo ricordo come una persona colta e buona, il vanto e l’orgoglio della nostra terra. Chi ama la cultura, amerà sempre anche lui».
Intere generazioni alla ricerca di un centro di gravità permanente. Per Valentina, 26 enne romana: «Battiato è stato la colonna sonora dei lunghi viaggi in auto con mia madre quando ero bambina. Le sue canzoni hanno accompagnato le interminabili ore passate a guardare il mondo scorrere dal finestrino. Brani come “Bandiera Bianca”, “L’era del cinghiale bianco” mi riportano a quei viaggi infiniti verso la Valle d’Aosta, alle montagne che si fanno sempre più vicine e imponenti, all’aria gelida del mattino. Crescendo mi è rimasto un attaccamento nostalgico alla sua musica ed è incredibile pensare a come abbia fatto innamorare generazioni diverse e lontane: mia madre è del 1960 e Battiato è stato un faro della sua adolescenza». Il pezzo della vita? «La Cura, è un po’ inflazionata lo so, ma per me è il brano che più esalta il concetto di amore, inteso come connessione spirituale a tutto l’universo. L’ho interiorizzata così, e ogni ascolto è come accedere a una dimensione fuori dal tempo e dallo spazio. Mi sono chiesta se questo amore non fosse anche interpretabile come amore verso qualcosa di più alto e non nascondo che ha scosso i miei dubbi sull’esistenza di Dio.
Non posso non citare tutto l’album “La Voce del padrone”. Alcuni riferimenti letterari e filosofici non sono immediati e finché non ti documenti non capisci mai se è un genio o se è un matto che dice cose a caso. Si è fatta molta ironia su questo aspetto della sua musica, ma nei suoi testi c’è una cultura immensa».
«Battiato è il solo in grado di trasmettermi spensieratezza e sentimenti contrastanti: un senso di leggerezza e allo stesso tempo una proiezione verso un oceano di profondità».
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