Il primo giorno in pista racconta già tutto. «Fu dopo i Giochi Studenteschi, avevo 16 anni. Piazzarono un cono sulla linea dei 100 metri e un altro su quella dei 110. Ci fecero giocare ad ‘acchiapparella’». Corsa, divertimento e obiettivi fissi in testa. Lorenzo Patta, 21 anni, ha cominciato a correre così nella sua Oristano. Tra i brividi dell’incoscienza e tanta voglia di provarci. Dopo 5 anni e un tragitto di oltre 10.000 km è arrivato a Tokyo e alle Olimpiadi, griffando con una partenza memorabile la staffetta d’oro azzurra e un capolavoro da annali: «Non dico cosa ho pensato alla fine, ma ancora non riesco a realizzare…».
Una storia che parte da lontano…
«Mi sono avvicinato all’atletica dopo anni passati a tirare calci al pallone, da super tifoso di Totti e della Roma. Ero un attaccante, giocavo nel ‘La Palma Monte Urpinu’, squadra della mia zona, e frequentavo il Liceo scientifico sportivo di Oristano. È stato difficile togliere gli scarpini, ma dopo le prime gare a scuola ho cominciato a correre e non mi sono più fermato…».
Ha qualche rimpianto legato al calcio?
«Nessuno. Anche perché fin da subito ho avuto ottimi risultati con l’atletica, mettendo da parte il passato. Del calcio mi restano però ricordi bellissimi e rapporti veri, come quello con il mio ultimo allenatore Denis Fercia. Siamo rimasti in contatto, mi ha seguito in questi anni ed è stato tra i primi a complimentarsi con me per la vittoria ai Giochi…».
Per l’Italia è stata l’Olimpiade più bella di sempre. Come ha vissuto i giorni della staffetta?
«Già prima della semifinale avevamo in testa il podio, spinti dalla grande impresa di Jacobs nei 100 metri, anche se non pensavamo all’oro perché c’erano squadre più attrezzate come gli Stati Uniti. Una volta arrivati in finale con il quarto tempo, vista l’eliminazione degli americani abbiamo cominciato a crederci. La storia era a portata di mano».
Un quartetto d’oro con Marcell Jacobs, Filippo Tortu e Fausto Desalu. Che rapporto avete?
«Sono l’ultimo arrivato ma mi sono sentito subito a casa, siamo in sintonia e insieme ci divertiamo. È una bella squadra, in cui tutti lavorano e nessuno se la tira. Forse è proprio questo il segreto del nostro successo. Abbiamo anche un gruppo Whatsapp, di cui non posso dire il nome (ride, ndr), che ha contribuito a fortificare il nostro legame. Con quella medaglia d’oro poi siamo diventati fratelli».
Com’è stato condividere la prima esperienza olimpica con l’uomo più veloce del mondo?
«Marcell è eccezionale. Dopo la vittoria gli ho fatto i complimenti e a Tokyo il nostro rapporto è diventato più stretto. Mi dispiace solo non aver visto la sua gara dallo stadio o comunque dal villaggio, perché arrivati in Giappone siamo stati per qualche giorno in un campus vicino alla città».
Ha avuto sulle spalle il peso della partenza, uno dei momenti più complicati di una staffetta…
«Sono sempre stato tranquillo, non ho mai provato ansia. Forse sono riuscito a gestire bene la pressione grazie all’assenza del pubblico, non ho mai gareggiato in uno stadio pieno e la confusione avrebbe potuto destabilizzarmi. O caricarmi, chissà…».
Gara a parte, quali sono i momenti olimpici che ricorda con maggiore piacere?
«Fuori dalla pista è stato tutto molto monotono, anche per colpa della situazione attuale. Spesso ci si ritrovava a scherzare nel villaggio olimpico, ricordo con un sorriso le partite a scopone con Filippo Tortu, Davide Manenti e Wanderson Polanco».
Quali sono state le emozioni del rientro in Sardegna?
«È stata la parte più bella di quest’avventura, un mix di sensazioni che non ho provato nemmeno in gara. Vedere insieme in aeroporto tutte le persone a cui sono affezionato, dalla mia famiglia alla mia fidanzata Mara e ai miei amici, non ha prezzo».
Di lei si è parlato come di un velocista ‘atipico’, con una struttura muscolare più leggera rispetto a tanti altri sprinter. Come lavorerà nei prossimi mesi?
«Penso di aver dimostrato che si possa correre bene anche senza troppi muscoli. Continuerò ad allenarmi come fatto finora, anche se il mio obiettivo vero resta la doppia distanza. Mi sento un duecentista ma tra un problema e l’altro, in questa disciplina, a livello di gare sono fermo al 2018. Spero di tornare presto in pista e sfidare, perché no, il mio amico Faustino (Desalu, ndr). Spingerò sui punti di forza per migliorare, insieme al mio allenatore Francesco Garau».
Che rapporto avete?
«Ci conosciamo da 5 anni e ha sempre creduto in me. Insieme ci troviamo bene e non l’ho mai fatto arrabbiare (ride, ndr), forse perché siamo simili dal punto di vista caratteriale. Gli devo tanto».
I Giochi di Parigi distano solo tre anni. Qual è l’obiettivo?
«Di sicuro gareggiare e far bene anche nell’individuale. Mi verrebbe da sparare il sogno di una finale olimpica, ma so che è molto difficile. Vediamo cosa verrà fuori, l’impegno non mancherà».
Chi è Lorenzo Patta fuori dalla pista?
«Un ragazzo come tanti. Ho intenzione di iscrivermi all’Università, mi piacerebbe studiare per rimanere nell’àmbito sportivo. Sono fissato con le sneakers, mi diverto giocando alla Playstation, vado matto per la pizza margherita e per il sushi e adoro la musica rap. Il mio cantante preferito è Salmo, sardo come me».
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