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Esclusiva

Dicembre 18 2021.
 
Ultimo aggiornamento: Gennaio 21 2022
«Tutti hanno il diritto di lavorare» la rinascita di Marica

È addetta vendite in un negozio del centro di Roma. I titolari di Marica hanno accettato senza difficoltà il suo percorso di transizione ma, per chi fa parte della popolazione transgender, non è sempre così

«Appena me ne sono accorta, ho specificato che quel nome appartiene alla mia vecchia vita. La titolare mi ha risposto che a loro non cambiava nulla, che l’importante era l’esperienza». Marica si era candidata per un lavoro ma, per sbaglio, aveva inviato il curriculum di Marco. Lei non è più Marco [deadname usato con il permesso di Marica, ndr] da settembre 2021 e il suo percorso come persona transgender è stato accettato senza difficoltà dall’azienda che l’ha assunta.

Per le persone transgender, l’identità di genere e/o ruolo di genere non si identifica col sesso assegnato alla nascita e perciò, alcune, cominciano l’iter per allinearsi al genere percepito.

«Il loro consulente mi ha chiesto se i documenti fossero già aggiornati per poterlo comunicare subito all’Inps. Gli ho risposto che per la rettifica del nome ci vorrà tempo. È una procedura lunga». Ora Marica lavora come addetta vendite in un negozio al centro di Roma ma è stata anche graphic designer.

Mentre parla, la sigaretta è appena appoggiata nell’incavo tra indice e medio. Il ritmo dei suoi passi è cadenzato e la falcata sinuosa, merito del suo passato da modella. È nata in Sicilia, in un contesto che le impediva di esprimersi appieno. Così, ha deciso di andarsene: si è trasferita prima a Torino e poi a Roma, dove ha intrapreso il percorso di transizione.

«Qui sono seguita dal Servizio di adeguamento tra identità fisica e identità psichica di un ospedale. C’è un’equipe che si occupa del sostegno psicologico e medico. Ora sto scoprendo un lato di me che avevo ignorato per questioni sociali, culturali ma anche economiche perché molte aziende hanno dei pregiudizi nei nostri confronti».

Nel mondo, le persone transgender adulte sono comprese tra lo 0,5 e l’1,2% della popolazione totale. In Italia, secondo Infotrans, sarebbero circa cinquecentomila ma si tratta di un numero approssimativo ottenuto da cifre internazionali. Per rimediare alla carenza di dati, nel 2020 è stata promossa la prima ‘stima della popolazione transgender’ italiana, chiamata SPoT. All’indagine ha collaborato anche l’Istituto superiore di sanità ma i risultati ancora non sono stati pubblicati. Queste persone, spesso, non riescono a trovare un’occupazione.

Marica ha sperimentato sulla propria pelle cosa voglia dire non ottenere un lavoro per il solo fatto di essere sé stessa. Poi, finalmente, ha incontrato i suoi attuali titolari. «Quando mi hanno assunta, è stata valutata prima di tutto la mia professionalità. Purtroppo, però, non per tutte le persone in transizione o che hanno terminato il percorso è così».

Nella vita di Marica non c’è solo il lavoro: a Roma ha scoperto il vogueing.

«È uno stile di danza che si rifà al mondo delle sfilate. Si studiano addirittura gli atteggiamenti che devi avere mentre balli o mentre cammini». Questo le permette di essere più sicura e la accompagna alla scoperta di sé stessa. «La transizione è personale, non deve riguardare gli altri. Nei contratti, al momento dell’assunzione, c’è scritto che i datori di lavori non possono fare discriminazioni in base al sesso o all’identità di genere ma questo non è rispettato, non equivale alla realtà. Dovrebbero esserci delle leggi più dure per poter risolvere questa forma di discriminazione».

Nel 2018, l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) e l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (Unar) hanno firmato un accordo per promuovere studi statistici sull’accesso al lavoro, sulle condizioni di lavoro e sull’applicazione di politiche di inclusione dei lavoratori LGBTQI+. Per ora, l’unica stima ufficiale – grazie all’approvazione della c.d. Legge Cirinnà – è quella sulle persone unite civilmente, circa 17.500 fino a tutto il 2019.

Nell’ambito del progetto di Istat e Unar, è stata pubblicata a novembre 2020 l’indagine sul diversity management: solo cinque imprese su cento (oltre mille imprese con almeno cinquanta dipendenti ciascuna) hanno adottato una o più misure non obbligatorie per includere e valorizzare questi lavoratori. Le imprese di queste dimensioni sono solo lo 0,6% del totale delle imprese italiane ma occupano oltre il 36% dei lavoratori.

La maggior parte delle politiche di inclusione è destinata alla tutela dei lavoratori transgender: Il 3,3% delle imprese ha previsto la possibilità di usare bagni e spogliatoi coerentemente con la propria identità di genere e il 2% di manifestare la propria identità con ogni mezzo visibile, anche attraverso l’abbigliamento.

Un tiepido passo avanti verso l’inclusione che, però, è ancora lontana «soprattutto dopo la bocciatura del Ddl Zan». Marica, prima di incontrare i suoi attuali datori di lavoro, era demoralizzata ma la determinazione l’ha spinta a non arrendersi: «è possibile trovare un titolare in grado di valorizzare, prima di tutto, il profilo lavorativo. Un titolare che non discrimina. È importante non perdere mai la speranza».