«Spaventati e impauriti». Così una professoressa descrive i suoi studenti mentre temporeggiano all’uscita della scuola, a composizione di un quadro ravvivato unicamente dai colori delle loro mascherine. «Il covid è per la prima volta una minaccia reale e vicina» confessa una studentessa, raccontando del dramma di non voler rischiare di contagiarsi, ma anche di soffrire di lacune importanti a causa della didattica a distanza imposta dalla pandemia durante gli anni del ginnasio.
Il primo giorno di riapertura delle scuole dopo il periodo di festività è avvenuto con molti dubbi e incertezze. La quarta ondata di covid targata Omicron sconvolge i piani del governo, così il rientro in classe “per tutti” diventa oggetto di scontro. La situazione epidemiologica registra un forte aumento dei contagi tra i giovani tra i 16 e i 19 anni e i bambini sotto i 12 anni. Nonostante le nuove misure introdotte dal Consiglio dei Ministri riunitosi il 5 gennaio per garantire una ripartenza «in presenza e sicurezza», prèsidi e genitori lanciano l’allarme e comunicano il rischio di una «situazione ingestibile».
Gli studenti del Giulio Cesare confermano le difficoltà del rientro, raccontando di classi semivuote e alunni positivi o in quarantena precauzionale collegati in DAD, ignorati e abbandonati al proprio senso del dovere. Tutti d’accordo che la didattica a distanza non funzioni e che abbia rappresentato, secondo i professori, una «soluzione distruttiva».
Ma il freddo causato dalle finestre aperte, i banchi distanziati da croci disegnate sul pavimento e le FFP2 che stringono sul viso sono condizioni per cui non vale la pena tornare a scuola.
«Finisco lezione alle 15. Ma prendo l’autobus per tornare a casa, perciò arrivo a pranzare anche alle 17. La scuola così mi brucia tutto il pomeriggio». Gli orari scaglionati di entrata e di uscita impegnano interamente le giornate dei ragazzi, che non riescono a conciliare le attività scolastiche con quelle sportive e la necessità di tempo libero.
Anche se in presenza, ai giovani sembrano mancare la socialità e le relazioni umane che rendono la scuola luogo di esperienze di vita e non solo centro di apprendimento. È questo il motivo che lo scorso dicembre ha spinto gli studenti dei licei romani ad occupare gli istituti, nel tentativo di imporre una riorganizzazione delle fasce orarie. «Almeno abbiamo avuto il nostro momento per socializzare» commenta uno studente del Giulio Cesare. Nonostante le voci dei ragazzi della capitale non siano state ascoltate, l’occupazione ha rappresentato un momento di unità e leggerezza, compensando alla mancanza delle agogniate gite scolastiche.
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A dividere maggiormente l’opinione degli alunni da quella dei professori è il grado di emergenza registrato. Se secondo i docenti la dad è stato uno strumento utile nella situazione di emergenza del 2020 e che andrebbe adesso accantonato, i ragazzi sono preoccupati per l’avanzare del numero dei contagi e definiscono la situazione di oggi «estrema», ribadendo tuttavia l’inadeguatezza del sistema didattico a distanza. Determinante la decisione del Tar, che accoglie il ricorso del governo e sospende l’ordinanza della Campania per cui slittava la riapertura delle scuole al 29 gennaio.