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Esclusiva

Febbraio 15 2022
La Francia alle urne sfida al presidente

Le elezioni di aprile dividono il Paese. La conferma di Macron non è scontata.

«La Francia è un paese di sinistra che vota a destra». La frase del sociologo Roger Sue fotografa la transizione in atto nella politica francese in vista delle elezioni presidenziali del 10 aprile. Il 37% degli elettori si considera di destra, il 4% in più rispetto al 2017.

Cinque anni fa Emmanuel Macron ha conquistato l’Eliseo proclamandosi «di destra e di sinistra». Dimenticando poi la seconda parte della formula, ha nominato un primo ministro gollista e ha attuato delle politiche fiscali che agevolano i ceti più abbienti. Eppure gli elettori di centro e di sinistra sembrano meno ostili nei suoi confronti. Oggi il presidente, con il 25% dei sondaggi, è quasi certo di passare al secondo turno. Ma la rielezione non sarà facile.

È cruciale capire se Marine Le Pen ed Eric Zemmour si candideranno in solitaria: uniti rappresenterebbero il miglior risultato di sempre per l’estrema destra, ma divisi perderebbero entrambi il ballottaggio. La leader populista, che si accredita come una statista, ha preso le distanze dall’estremismo del padre. Zemmour, giornalista antislamico condannato per incitamento all’odio, ha una strategia elettorale che ricorda quella di Trump, colma di attacchi ai media e all’establishment. 

Più pericolosa, per il presidente in carica, appare la sfida con la candidata repubblicana Valérie Pécresse, che cerca di immaginare un modello capace di conciliare sicurezza e integrazione, liberismo economico e solidarietà sociale. La quadratura del cerchio, insomma.

«La sinistra non ha il monopolio del cuore» disse l’ex Presidente della Repubblica Giscard d’Estaing durante un duello elettorale, ma che fine ha fatto la gauche che un decennio fa controllava la presidenza, il parlamento e la maggior parte delle regioni e delle grandi città? Oggi nessuno dei suoi candidati è in grado di vincere. «Troppe teste per un palco piccolo» ha titolato il quotidiano Libération. Ma è anche vero che le differenze, nella sostanza e nella forma, esistono e sono profonde. 

Eppure, secondo il sociologo Sue, la Francia è un Paese di sinistra: «Il movimento del ’68 non si è mai fermato. Dal riconoscimento dei diritti Lgbtq+ al matrimonio tra persone dello stesso stesso, dall’assimilazione degli stranieri alla parità di genere». Secondo i sondaggi l’area più forte non è la destra, estrema o repubblicana, ma l’astensione. Una parte della società civile non sentendosi rappresentata appoggia i movimenti di contestazione che la sinistra non riesce a interpretare. «Siamo quelli che fanno andare avanti la società» urlavano i gilet gialli nel 2018. Una frattura sociale, che avrà la sua influenza nei rapporti con l’Unione Europea, di cui la Francia ha assunto la presidenza dal primo gennaio.

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