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Esclusiva

Febbraio 15 2022
«Abbiamo applicato la legge» Intervista a Gherardo Colombo

Regista del processo di Mani Pulite, il magistrato capo del pool parla alla redazione di Zeta

A poca distanza dalla sua formazione, nel 1992 Gherardo Colombo entrò a far parte del pool di magistrati di Mani Pulite e ne assunse la direzione. La sua carriera era ormai avviata: il processo contro la loggia massonica P2 nel 1981, consulente per la commissione parlamentare antiterrorismo dal 1989 al 1992.

Sarà la Città di Milano, dove nel 1989 diventa pubblico ministero, a trascinarlo nel centro dell’attenzione mediatica. L’arresto di Mario Chiesa, Tangentopoli che si abbatte su politici e imprenditori meneghini, l’Italia scossa da un fragile equilibrio tra la politica e i cittadini.

Dopo l’arresto di Mario Chiesa, lei e il pool avevate capito il livello di corruzione esistente? Quale era la vostra percezione della politica di allora?

Nel giro di un paio di mesi si vedeva chiaramente che avevamo scoperto un sistema della corruzione. Riguardo la giustizia, il procedimento penale serve a giudicare persone riguardo il compimento di reati. Nel processo penale si guarda a quello, solo a quello e non ad altro.

Luciano Violante, ex presidente della Camera, ha detto che con Mani Pulite «la legittimazione del magistrato ha iniziato a provenire dal pubblico e non dalla legge». Cosa ne pensa?

La legittimazione deriva dalla legge. Noi potevamo fare quello che facevamo perché esistono dei codici legislativi. È certo però che contemporaneamente la cittadinanza ha manifestato a favore delle indagini. Ma se non ci fosse stato questo sostegno avremmo fatto le stesse cose. Per certi aspetti a mio parere è stato anche un po’ faticoso questo appoggio così evidente.

Per Mattia Feltri, direttore di Huffington Post, Mani Pulite è stato il momento in cui si è persa l’illusione di poter cambiare l’Italia e dalla stessa parte è stato l’avvento di uno stretto legame giornalistico e politico che si è creato con i magistrati.

Sicuramente non pensavo che la via giudiziaria fosse quella che potesse cambiare la cultura italiana. A luglio del 92 feci una proposta che evitava le condanne a chi avesse raccontato come erano andate le cose e avesse restituito il denaro allontanandosi dalla vita pubblica per un certo tempo. Per me era un problema della vita pubblica, non della magistratura. Nell’uscire dal sistema di corruzione che si era trovato, la politica non ha dato le risposte che avrebbe dovuto dare.

Secondo lei Mani Pulite è stata concentrata a Milano e lì si è fermata come luogo simbolo o aveva bisogno di espandersi in tutta Italia?

Ci sono state anche in altre città indagini di corruzione. La più famosa è quella di Milano perché ha coinvolto più di cinque mila persone, quattro ex presidenti del Consiglio, qualche centinaio di parlamentari, dodici ministri, quasi tutte le imprese italiane di maggior spessore. A me non sembra di ricordare vicende particolarmente significative successe in altre città. L’interrogativo è: perché non si è indagato o perché non c’era la corruzione? Questo non glielo posso dire.