«Sono convinta che l’assassino deve essere processato insieme ai suoi complice che commettono omicidi contro il mio popolo». Trema di rabbia e dolore la voce di Larysa Bohdanova, giornalista di Rada TV, l’emittente televisiva ucraina del parlamento. Il destinatario del suo sfogo è Putin. Larysa il 24 febbraio scorso si trovava a Roma per una breve vacanza con la figlia Elina che vive in Italia da sei anni. Nessuna avvisaglia preventiva dell’imminente invasione del proprio paese natale tanto che la sera prima aveva preparato la valigia per tornarsene a casa. La mattina seguente uno scenario inimmaginato: «Mi sono svegliata alle 6 di mattina dalla quantità enorme dei messaggi che mi arrivavano, solo venuta solo per tre giorni con una piccola valigia e sarei dovuta partire il giorno in cui tutto è iniziato. Non avevo paura ero sotto shock. Dopo un’ora ho scoperto che il volo era stato cancellato, dopo un’altra ora ho iniziato a pensare a cosa avrei fatto e dove sarei andata».
Igor Bohdanov, il marito, è rimasto in Ucraina e non intende muoversi, a fargli compagni la loro gatta. «Noi abitiamo a piano terra e sotto abbiamo un rifugio dove lui scende quando ci sono gli attacchi aerei. Il nostro palazzo ha nove piani e mio marito aiuta anziani e vicini a scendere nel bunker. In più controlla la zona perché nei primi giorni c’erano molti casi di soldati russi infiltrati tra la popolazione». Il pensiero di Larysa è lì, con la sua gente e i suoi colleghi, nonostante lei sia a migliaia di chilometri dalla guerra. Si dice sicura che i suoi compatrioti resisteranno con caparbietà fino a quando potranno all’avanzata russa, ma è ancor più convinta che ci sia bisogno di un intervento congiunto della comunità internazionale e che Putin debba essere portato di fronte all’Aia a rispondere dei propri crimini.
Mentre i carri armati avanzano, però, c’è un’altra guerra che procede parallela a quella fatta a colpi di fucile e lanci di missili. È la guerra dell’informazione. I soldati sono i giornalisti che, tra le macerie e la disperazione, continuano a fare il proprio mestiere. «I miei colleghi giornalisti stanno lavorando tanto dai rifugi» e dopo il bombardamento della torre della Tv continuano ad avere «accesso alla connessione satellitare e hanno ingaggiato le stazioni di riserva. Il nemico ha pensato che lanciando la bomba sulla torre avrebbe fermato il lavoro dei giornalisti. Ma i miei colleghi stanno continuando a informare.»
Natalia Kudryk, inviata speciale in Italia di Radio Liberty e collaboratrice della rivista The Uckrainian Week, è in contatto con i colleghi «La mia redazione è stata trasferita nella parte occidentale del paese, alcuni inviati sono rimasti nelle zone bombardate, non solo a Kiev, e lavorano lì per come è possibile. Alcuni di loro imbracciano il fucile e passano l’informazione tramite i canali che sono disponibili anche se la connessione, già di per sé debole, è ancor più instabile del solito».
Continuare a garantire un’informazione corretta e accurata «può aiutare ma è difficile sostenere che sarà decisivo» nell’esito del conflitto e nel depotenziare Putin, sia sul fronte interno sia nell’ambito internazionale. Negli ultimi 8 anni, da quando la Russia aveva invaso la Crimea, l’Ucraina ha fatto grandi passi per contrastare la propaganda russa. Già prima dell’invasione, infatti, il paese aveva chiuso tre canali propagandistici russi 12 Ucraina, NewsOne, Zik e oscurato i siti di blogger anti-Ucraina. Seppur nelle difficoltà del conflitto armato il governo di Zelensky sta continuando a combattere anche su questo fronte «Sui canali governativi vengono messi degli annunci che invitano gli utenti a fare attenzione ad alcune fake news e rassicurano le popolazioni dei villaggi che, secondo quanto erroneamente diffuso da fonti russe, sarebbero accerchiati e invitarli a non piegarsi all’occupante. Inoltre, vengono segnalati ai cittadini ucraini i canali Telegram creati dai Russi per disinformarli».
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Per informare i cittadini sono stati creati diversi canali Telegram istituzionali come quello dell’esercito e quello del sindaco di Kiev. Inoltre, c’è un canale specifico di contrasto alla disinformazione in cui vengono debunkate le fake news diffuse.
Si combatte sul campo e sotto le macerie, nei bunker.