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Esclusiva

Marzo 9 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Marzo 10 2022
«Una parola può liberare o imprigionare» il racconto della violenza sulle donne nei media

Italia, Canada e Regno Unito a confronto nell’evento La versione di lei – Her Story
all’università Luiss Guido Carli

«Il linguaggio usato nel racconto di una storia può generare violenza, bisogna agire sul ruolo e sulla responsabilità dei media». È l’evento La versione di lei – Her Story presentato l’8 marzo 2022 in occasione della Giornata Internazionale della Donna presso la sala delle colonne dell’università Luiss Guido Carli. Il confronto internazionale tra Italia, Canada e Regno Unito racconta il «ruolo e la responsabilità dei media nella narrazione della violenza sulle donne».

Il direttore del Master in Giornalismo e Comunicazione multimediale e Data Lab Luiss, Gianni Riotta, apre i lavori. La ministra per le pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, rivolge i suoi saluti istituzionali insieme all’Ambasciatrice del Canada Elissa Golberg, al vice capo Missione dell’Ambasciata britannica a Roma, Eleanor Sanders e alla presidente di Differenza Donna Aps-Ong, Elisa Ercoli.

L’incontro mira a comunicare stereotipi e pregiudizi presenti nel linguaggio mediatico, sia visivo che verbale, che raccontano un fenomeno della violenza sulle donne diverso dalla realtà. La comunicazione che parte dall’utilizzo di un linguaggio attento, nella storia della vittima coinvolta, può diventare un potente strumento di innovazione.

«Le parole, come le immagini, creano il fatto storico. La verità della narrazione riguarda il lavoro dei media. Il diritto di cronaca non deve essere confuso con una disumanizzazione della storia» spiega la ministra Bonetti. «Il giornalismo ha, infatti, il potere di rianimare una percezione e una coscienza di un fenomeno che pervade la nostra società».

Sanders e Golberg evidenziano come l’uso di un linguaggio che minimizza le colpe dell’uomo violento e colpevolizza la vittima moltiplica la violenza. È il risultato della disparità di potere tra uomini e donne che deriva da una cultura patriarcale. La volontà, spesso, è di mettere la donna al centro e di offuscare l’uomo per sollevarlo dalle sue responsabilità.

«La parola incide sul giudizio e il giornalista condiziona pensieri e percezioni» prosegue la Ercoli presidente di Differenza Donna. «Il tema della violenza non è un problema personale e soggettivo, ma riguarda tutti, implica una lettura sociale. Le vittime possono raccontare quello che gli altri dimostrano di potere ascoltare».

«Una parola può liberare o imprigionare» il racconto della violenza sulle donne nei media

Tre giornaliste d’eccezione contribuiscono al dibattito: Elisa Ansaldo, giornalista del TG1, Anna Maria Tremonti, giornalista e reporter della CBC/Radio–Canada e Megha Mohan, la prima corrispondente gender e identità della BBC. «Bisogna liberare la cultura che normalizza la violenza. Il problema non è la violenza nella coppia, ma come il mondo reagisce al racconto di quanto ha subito la vittima. È il framing, l’inquadratura della storia che ha un preciso impatto sul pubblico. I giornali, rappresentando i fatti, possono essere i veicoli per una maggiore consapevolezza della gravità del fenomeno».

L’evento si conclude con un laboratorio interattivo rivolto a studenti e professionisti del settore dei media, condotto da Elisa Ercoli e Luisa Garibba Rizzitelli, giornalista esperta di comunicazione e politiche di genere, in collaborazione con la Prof.ssa di Sociologia dei fenomeni politici Flaminia Saccà e Rosalba Belmonte, esperta in Gender Studies e docente di Sociologia generale dell’Università della Tuscia. Il confronto diventa un’occasione per promuovere una storia priva di sensazionalismi della violenza sulle donne e per una maggiore consapevolezza dei pregiudizi sulla vittima che allontanano una parità di genere.

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