Diciannove bambini e due maestre sono stati uccisi da un diciottenne che frequentava lo stesso complesso scolastico. Quella di Uvalde, città del Texas vicino San Antonio, è solo l’ultima di una lunga serie di stragi avvenute negli ultimi anni negli Stati Uniti. Solo nei primi tre mesi del 2022, sono morti 241 bambini in sparatorie, mentre il totale era di 4.567 occorse a causa di colpi di arma da fuoco. «Più dei decessi riportati dall’esercito statunitense durante tutta la guerra in Iraq» dice Sree Sreenivasan, giornalista americano e professore alla Columbia University, già responsabile della comunicazione digitale della Città di New York. «Lo avevo scritto nella mia ultima newsletter. I numeri, purtroppo, devono già essere aggiornati».
«Essere in Italia negli ultimi giorni», continua Sree, «mi ha ricordato quanto questo non sia normale e mi ha aperto gli occhi. Genitori e bambini qui non si preoccupano di queste cose. Oggi c’è una guerra in Europa, ma in America è guerra ogni giorno». Un problema che ha ormai assunto un carattere sistemico, eppure «non stanno facendo nulla». «Se non presti attenzione a cosa succede in America, vedi dei titoli come questi e pensi ‘staranno agendo su questo, perché accade così spesso’ e invece non è così».
Nell’ordinamento americano il possesso di armi non è solo consentito a tutti i cittadini ma è un diritto sancito nel II emendamento della Costituzione. «Questo è frustrante», dice Sree, per tutti coloro che cercano di creare un dibattito intorno alla questione. «Quando l’Australia ha avuto una sparatoria, negli anni Novanta, hanno cambiato la loro policy e così hanno fatto altri Paesi. Quest’anno è il decimo anniversario del più grande massacro scolastico, quello di Sandy Hook in Connecticut. Noi abbiamo detto tutti che “never again”, “non dovrà accadere mai più”, ed eccoci qua». «Continueranno a dire che è un problema di salute mentale, ma la colpa invece è delle armi e non riguarda solo le sparatorie. Aumentano i suicidi e le morti accidentali», sono frequenti gli incidenti domestici. «A volte i bambini vengono uccisi accidentalmente dai loro stessi genitori o viceversa».
Oltre alla legge, l’impasse riguarda il sistema politico, paralizzato da interessi non solo elettorali. «L’industria delle armi paga così tanti soldi al partito Repubblicano da averlo reso completamente indifferente al problema della violenza armata. E così niente può essere fatto, proprio per la natura del nostro sistema politico, che è basato su due partiti».
A riprova del disinteresse dei repubblicani, il professore americano ricorda la strage del 2017 al ‘Route 91 Harvest Festival’, una rassegna di musica country a Las Vegas. «Un uomo è andato sul tetto della sua stanza e ha iniziato a sparare. Quasi tutti quelli che sono stati uccisi erano repubblicani o supporter di Trump, e comunque ai loro rappresentanti non è importato di affrontare il problema. Anche se le cose andassero molto peggio di così, non succederebbe niente. Il sistema è strutturato così». E la società civile non è in grado di reagire in maniera compatta. «Non ci sono più fatti su cui tutti sono d’accordo, siamo divisi. La società è polarizzata e le persone accecate dalle loro convinzioni politiche. I sostenitori delle armi ci accusano di non curarci della Costituzione e non dobbiamo dimenticare che 74 milioni di persone hanno votato per Trump».
«Questo è il Paese, il nostro sistema è malato», conclude Sree, turbato dalle notizie da Uvalde. «Nulla cambierà, tutti sono arrabbiati». L’unica cosa certa, dice, è che «se non ci fossero così tante armi le cose non andrebbero così male ogni giorno».
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