Esiste una città in cui il tempo sembra fermo a due anni fa. Shangai è in lockdown totale dai primi giorni di aprile, quando il governo cinese ha deciso che avrebbe chiuso prima la zona di Pudong e poi quella di Puxi. Alla fine entrambe le zone sono state chiuse, solo negli ultimi giorni si è iniziato ad intravedere uno spiraglio. Mercoledì scorso tutte le restrizioni anti covid sono state revocate, anche se numerosi quartieri della città sono ancora in lockdown.
Sono stati mesi difficili. A raccontarlo a Zeta è Emanuele, un ragazzo italiano che vive a Shangai da ormai tre anni. Prima faceva l’insegnante di inglese in un dopo scuola, ora invece lavora per un’agenzia di graphic design.
I lockdown facevano parte della strategia “zero casi” portata avanti dal governo cinese. «Per due anni abbiamo vissuto nella normalità, a differenza dei Paesi occidentali. La strategia di rigidissimo tracciamento e controllo ha funzionato. Poi all’inizio di gennaio sono nati dei focolai in diverse zone del Paese che non si riusciva a controllare facilmente».
Emanuele parla dalla camera che condivide con il fidanzato. Vive a Shangai da quasi tre anni ed è chiuso in casa senza possibilità di uscire da inizio aprile. Per questo ha iniziato a raccontare la propria esperienza sul suo profilo Tik Tok da 23 mila followers. «Ho iniziato a fare video per combattere la disinformazione che vedevo su altri profili».
«A breve ci sarà il terzo mandato del presidente Xi Jinping, che non può rimangiarsi la parola data. Se ha detto che avrebbe seguito la strategia “zero casi” così deve essere, anche se persino l’OMS ha detto che è un metodo insostenibile da seguire».
Nei Tik Tok pubblicati sul suo profilo Emanuele racconta della terribile esperienza della quarantena. Dei primi giorni, in cui non si poteva uscire neanche per buttare la spazzatura. Dei video, diventati virali in pochissimo, dove dai palazzi di Shangai si alzava un lamento collettivo fatto di urla e mormorii, nel giorno dell’annuncio delle restrizioni. Gli abitanti si erano preparati per un lockdown di cinque giorni che, quando poi il governo ha annunciato delle chiusure a tempo indeterminato, sono diventati mesi. «Nessuno era preparato, noi avevamo acquistato cibo solo per cinque giorni. Era diventato impossibile fare la spesa online. Bisognava puntare la sveglia prestissimo al mattino, intorno alle 6, per potersi accaparrare una scatola tramite le app che la consegnano a domicilio. Le provviste fornite dal Governo sono iniziate ad arrivare solo giorni dopo».
«Durante i primi giorni di lockdown c’era molta attenzione da parte dei media internazionali. Poi tutto è scemato, anche per questo motivo ho deciso di iniziare a pubblicare i miei video su Tik Tok. All’inizio parlavo in inglese, poi ho visto che c’era molto interesse da parte dei miei follower italiani a sapere cosa stava succedendo, visto che le tv e i giornali ne parlavano sempre meno. Cerco di usare video che giro io e non cose che mi arrivano su WeChat o altri social, in modo da essere il più autentico possibile».
«Il motivo principale per cui ho iniziato a pubblicare è che vedevo molta disinformazione in giro. Ad esempio l’ambasciata cinese a inizio aprile aveva pubblicato in un post delle foto false, in cui si vedevano negozi e mercati aperti con gente che faceva la spesa. Sotto la didascalia recitava “Shangai torna finalmente alla normalità”. A quel tempo le tapparelle dei negozi erano ancora sprangate ed eravamo tutti chiusi in casa».
Emanuele racconta di essersi imbattuto nei profili Tik Tok di due ragazzi di origine cinese che raccontavano, in italiano, falsità su quello che stava accadendo. Molti di questi giovani credono davvero alla propaganda del regime e, pubblicando questo genere di video sui loro profili personali, diventano degli amplificatori involontari di disinformazione.
«C’è questo ragazzo, su Tik Tok si chiama @silvanoinchina, che è di origini cinesi ma che ha vissuto in Italia e parla bene italiano. Ora vive e studia a Pechino. In uno dei suoi video irrideva il servizio delle Iene dove venivano pubblicati i video agghiaccianti della polizia che minacciava chi usciva di casa durante il lockdown. In un altro Tik Tok elogia la strategia del Governo, spiegando che a Shangai si vive tranquillamente e i centri per positivi sono degli hotel di lusso. Anche questo è falso. Un mio amico è stato rinchiuso in uno di quei posti ed è stato terribile. Se ti va bene finisci in un hotel, dove i posti sono finiti in pochissimo tempo. Per risolvere il problema sono stati costruiti dei capannoni, una specie di ospedali da campo, dove i positivi sono stipati tutti insieme in attesa di negativizzarsi. Le condizioni igieniche sono terribili. Farsi una doccia è impossibile, perché i servizi non vengono mai puliti. Nel caso del mio amico la doccia consisteva in un secchio d’acqua che bisognava buttarsi addosso».
Un video di China Global Television Network, la tv di Stato di proprietà del partito comunista cinese, cerca di mostrare un’immagine positiva dei centri per positivi. Sul loro canale si vede un video in cui chi riprende mostra dei bagni chimici con degli operai intenti a pulirli, spiegando che i volontari stanno facendo il possibile per rendere il posto pulito e accogliente.
Ma la campagna di disinformazione portata avanti dal partito comunista cinese non si limita alle informazioni sul lockdown. L’esempio più emblematico è quello che riguarda le opinioni sulla guerra in Ucraina, che coincidono con la visione russa dell’invasione. Un’indagine di Newsguard dimostra che i canali dei media di Stato cinesi, attraverso i loro canali Youtube, hanno riempito il vuoto lasciato dai media di stato russi, diffondendo in lingua i contenuti di Rt e Sputnik tradotti in lingua inglese.
Non sono solo i media di Stato o le istituzioni a diffondere fake news. Come riporta l’Associated Press esistono degli influencer del partito comunista cinese da migliaia di follower su Tik Tok, Instagram e Youtube che diffondono la propaganda del regime di Xi Jinping, pubblicando video in cui presentano una visione del mondo favorevole al suo operato.
Gli account nell’insieme hanno milioni di follower. La rete di influencer è composta da persone che raccontano la cultura della Cina in maniera leggera e ironica. Vica Li, nella sua bio di Youtube e Tik Tok, racconta di essere una ragazza “amante del cibo e dei viaggi” che vuole insegnare la lingua cinese tramite delle brevi clip in cui spiega il significato di frasi idiomatiche e modi di dire. In realtà il nome di Vica Li compare anche nella lista dei reporter di China Global Television Network, la tv di Stato di proprietà del partito comunista. Questo però non risulta dichiarato nei suoi profili social.
La rete di influencer scoperta conterebbe almeno 200 profili con legami col governo cinese o con i suoi media di Stato e opererebbe almeno in 38 lingue diverse. «Si può vedere come stiano cercando di infiltrarsi in ogni Paese; è solo una questione di quantità ultimamente. Se bombardi un pubblico per un tempo sufficiente con la stessa narrativa le persone tenderanno a crederci prima o poi», ha rivelato all’Associated Press Clint Watts, ex agente Fbi e presidente di Miburo, società che monitora le operazioni di disinformazione straniera.