Sulla famiglia Benati aleggia la maledizione della scomparsa e i membri uomini ne sono preda. Protagonista dell’ultimo romanzo di Marco Amerighi Randagi, candidato al Premio Strega, Pietro non disattenderà le aspettative. Assorbito dalla spirale dei continui fallimenti familiare, il caos si riordina nell’incontro con due suoi simili che, nel loro vagabondare, scovano una salvezza collettiva.
Randagi, forse codardi e altalenanti, avventurosi e infedeli. La tradizione di famiglia oscilla tra un bisogno vitale e l’incapacità di vivere. La storia di una generazione, quella dei millennial, cresciuti a cavallo degli anni Duemila, con i cavi di Internet che invadevano le case e il futuro che iniziava a confondersi tra i dubbi imposti da una realtà in costante cambiamento.
Marco Amerighi mette per iscritto una lista di personaggi ed eventi che costruiscono una finzione che lotta per farsi spazio nel realismo del suo racconto. Tra ambizioni e prospettive, Pietro deve affrontare un retaggio familiare che invade ogni sua immaginazione. La scomparsa di suo nonno durante la guerra di Etiopia, quella rapida ma non indolore di suo padre. Chi si chiede quando diventerà operaio, otterrà la laurea, un matrimonio o una famiglia. Pietro si chiede quando sparirà dalla vista di ogni persona conosciuta.
Secondo Sandro Veronesi, vincitore del Premio Strega 2020, «la scrittura di Amerighi splende in questo romanzo» che, nel suo attaccamento alla storia, assume il ruolo di portavoce generazionale collocandosi «nel perimetro entro il quale stanno i grandi affabulatori della nostra tradizione». Un testo che si discosta però dalla letteratura romanzesca per trasformarsi in memoir di uno stralcio di storia. La sua scrittura incantatoria ne scandisce il racconto didascalico e, come un metronomo stilistico, si innalza fino a riequilibrare la scarsità dei contenuti e del pensiero.
Nell’inchiostro Amerighi ripone l’onestà di voler scoprire ed esplorare se stesso attraverso un passato che, con il suo peso, tratteggia ancora la sua orma sul presente. Un viaggio introspettivo, tra razionalismi, sentimenti sconosciuti e indefinibili dispersi in una sterilità che rischia di apparire una consuetudine nell’epoca di una dieta a base di disinfettante.
È l’innovazione stilistica della scrittura la vera protagonista del romanzo. Nel recupero del retaggio letterario italiano e nel suo stravolgimento, Amerighi inquadra la cinepresa su un inchiostro ormai stanco per le novità e incapace di generare un pensiero che lo accompagni. Le parole rimangono tali, semplici suoni e segni grafici. Proprio qui tutto il fare affabulatorio di Amerighi conquista il lettore e lo ipnotizza. Strati su strati di personaggi e intrecci provano a nascondere la mancanza di un messaggio e di una riflessione, il vero scopo di un romanzo.
Randagi si fa spazio in una nuova corrente biografica che vede in un passatismo sentimentale la chiave di volta del presente. Nella speranza di comprendere e comprendersi, la seconda opera di Marco Amerighi ha un piede tra i finalisti del Premio Strega e l’altro nella direzione di un’orchestra che risuona un elenco sinfonico di storie collettive che hanno ormai fatto il loro tempo.