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Esclusiva

Giugno 30 2022
Le sfumature dell’orgoglio LGBTQ+

La storia del Pride, a Roma, inizia nel 1994, attraversa tappe importanti come il World Gay Pride del Duemila e torna quest’anno a «fare rumore»

Rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, blu, viola. La storia del Pride si svolge sotto questi colori. Ogni anno, sono decine di migliaia le persone che si riuniscono, per rivendicare il diritto ad amare chi vogliono ed essere chi sono. A muoverle è l’orgoglio, la voglia di non nascondersi più e di riunirsi in un unico festoso corteo.

«Dopo due anni di limitazioni, “Torniamo a fare rumore” è lo slogan che nasce dalla voglia di far sentire di nuovo la nostra voce, di essere visibili. Ovviamente è anche un riferimento alla mitica Raffaella Carrà». Mario Colamarino è il presidente del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, che organizza il Pride nella capitale fin dal 1994, anno in cui per la prima volta la comunità LGBT italiana ha avuto la possibilità di sfilare con orgoglio.

«Siamo nel ’94, sono passati diversi anni da quando c’è stato Stonewall e dai primi Pride americani. In Italia nessuna delle associazioni che erano presenti – nel 1971 era nato il Fuori, nel 1980 l’Arcigay, nell’83 il Mieli – aveva pensato di fare un corteo di giorno: era una faccenda che metteva moltissima paura, si temeva, infatti, più che l’ostracismo esterno quello interno». L’allora presidente del Mario Mieli, Deborah Di Cave, ricorda quella manifestazione come «il più grande coming out di massa», nonostante il timore che l’ostacolo più grande potesse essere proprio la reticenza della comunità LGBT italiana a mostrarsi.

Le criticità dell’organizzazione non riguardarono il confronto con le autorità cittadine. «Quando andai con la cartina di Roma in questura, per concordare l’itinerario della manifestazione, furono talmente stupiti dal vedere una richiesta di questo tipo, peraltro portata avanti da una ragazza molto femminile come me, che il funzionario che mi accolse fu talmente imbarazzato, che mi raccontò di aver letto tutta Virginia Wolf per dimostrarmi quanto fosse friendly». Il vero lavoro fu, in un’epoca pre-internet, quello di convincere le associazioni sul territorio a organizzarsi in massa e a persuadere altre formazioni, politiche e sindacali, a partecipare.

Contro ogni pronostico, si presentarono circa dieci mila persone e, per la prima volta, aderirono anche associazioni e persone note, come Ricky Tognazzi e Simona Izzo. «Fu il segnale che personaggi del mondo etero si esponevano a favore delle nostre rivendicazioni». Invece, il grande assente fu il sindaco di Roma, Francesco Rutelli, che tra un «sì ci saremo» e un «vediamo se possiamo venire», alla fine «scese dal Campidoglio quando il corteo passava di lì, ma senza fascia tricolore, come se presenziasse a titolo personale».

La svolta, a detta dell’attuale presidente del Circolo Mario Mieli, Colamarino, «arrivò negli anni Duemila, quando abbiamo organizzato il World Pride a Roma. Quello è stato un cambiamento epocale nel modo di fare il Pride».

Imma Battaglia, l’allora presidente dell’associazione, racconta che «dal 1997 si parlava solo del Grande Giubileo». Poi, il 13 gennaio del 1998, il quarantenne siciliano Alfredo Ormando, omosessuale, prese il treno da Palermo, dopo 24 ore arrivò a Roma. Andò a San Pietro, sul sagrato si diede fuoco lasciando una lettera, che subito venne sequestrata dalla polizia. «Ero sconvolta, non ci potevo credere. Per me quel gesto rendeva chiaro ai più qualcosa che io già sapevo: l’oppressione delle religioni sulla comunità LGBT. Per me divenne una dichiarazione di battaglia, come il mio cognome». Alfredo non morì subito. Nei giorni successivi all’episodio in Piazza San Pietro, con le comunicazioni all’epoca ancora ridotte al minimo, «fu problematico anche ritrovare la famiglia, per individuare qualche parente pronto a donare ad Alfredo la propria pelle per il trapianto».

Dopo dieci giorni passati tra sofferenze atroci, l’uomo morì. «Questa cosa mi segnò talmente tanto che in una riunione di qualche giorno dopo mia alzai e dissi: ‘Noi dobbiamo fare il giubileo dei gay. Dobbiamo inondare Roma di ricchioni’. Iniziammo allora a costruire una rete internazionale di contatti. Spiegavo a tutti quelli che incontravo che organizzare il Pride a Roma nell’anno del Giubileo sarebbe stata un’onda mondiale. Infine, presentai la candidatura di Roma per l’Euro Pride, ottenendo il consenso.» Ma Imma decise che non bastava: occorreva allargare gli orizzonti perché la religione cattolica non era praticata solo in Europa. Si pose l’obiettivo di «organizzare il primo Pride mondiale nell’anno del giubileo».

Dal 1999 si intensificarono i contatti con l’America, Imma trascorse le proprie ferie ad Atlanta e San Francisco cercando di spiegare la necessità di organizzare questo evento mondiale. «L’Ilga, associazione organizzatrice dei Pride non europei, votò all’unanimità il benestare al World Gay Pride». La rete sociale e associazionistica, creata da Imma, continu ò allargarsi e attivisti da tutto il mondo vennero coinvolti nell’organizzazione. Tra questi c’era Gilbert Baker, il disegnatore della la bandiera arcobaleno, e Sylvia Rivera, icona transgender del movimento LGBT. E le istituzioni cittadine?

«Nel 1998 l’allora sindaco Rutelli, alla conferenza stampa di presentazione del World Pride, mandò un funzionario a fare gli onori di casa. Poi nel 1999, quando il Vaticano prese coscienza della portata di ciò che stava accadendo iniziando ad attaccare ferocemente e cercando di fermare la manifestazione in tutti i modi, il sindaco si trasformò da alleato in nemico. E in una seduta del novembre ’99, il consiglio comunale cancellò il patrocinio del comune al Pride, mentre rimase quello del Ministero dei Beni culturali, sotto la guida di Giovanna Melandri». Ma le azioni di disturbo non cessarono e i gruppi neofascisti della capitale iniziarono a insidiare pericolosamente la comunità LGBT al punto che il Circolo Mario Mieli, supportato da Rifondazione comunista, intervenne a Strasburgo per chiedere il sostegno della comunità europea.

«Sfinita un giorno dissi al questore: ‘Con o senza autorizzazione noi marciamo. Sono sicura che lei che rappresenta la polizia saprà mantenere la sicurezza per tutti noi’». Nonostante l’ostinazione e la caparbietà degli organizzatori, però, «la marcia non riuscì ad oltrepassare il Colosseo, dove i gruppi di estrema destra stavano facendo la contromanifestazione. Ma il World Gay Pride ha cambiato la storia e il volto di questo nostro paese: da quel momento la politica ha preso coscienza della questione omosessuale».

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