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Esclusiva

Luglio 11 2022
Basket e politica secondo Mr.President

La storia di William “Bill”Bradley tra il parquet, Oxford, l’Italia e una carriera fuori dal comune.

«A tredici anni mio padre decise di farmi fare un viaggio in Europa. Visitammo anche l’Università di Oxford in un meraviglioso pomeriggio di giugno, con i suoi muri di pietra e i ritratti dei primi ministri appesi alle pareti. Mi dissi che un giorno ci sarei tornato» Dovranno passare altre dieci estati prima che William “Bill” Bradley esaudisca il suo desiderio. Stavolta il biglietto non lo ha pagato il padre, Warren Bradley, presidente di una piccola banca del Missouri, ma la Princeton University. È riuscito ad accedere a una prestigiosa borsa di studio accademica ed è allo stesso tempo il più forte giocatore di basket collegiale americano degli anni Sessanta. I New York Knicks lo scelsero al Draft NBA del 1965, ma già dall’adolescenza ha capito l’importanza dell’educazione: «La vita non è fatta solo degli inverni passati a giocare a basket»

Nato e cresciuto a Crystal City, una piccola città del Missouri che si affaccia sul fiume Mississippi, è sempre stato guardato con diffidenza dai coetanei, soprattutto per il proprio ceto sociale. «Ecco, arriva il figlio del banchiere»: era questo ciò che sentiva quando nel parco si approcciava agli altri ragazzi per chiedere di poter giocare una partita di flag football. Essere giudicato in modo superficiale lo ferisce a livello personale e lo porta a credere di dover dimostrare di più di tutti gli altri. Grazie al basket trova il modo di togliersi lo stigma di essere il figlio del banchiere. Diventa il miglior giocatore del Missouri e riceve settantacinque offerte di borse di studio per meriti sportivi. Duke University, ricca scuola del North Carolina, è per molto tempo la scelta numero uno di Bill, ma poi qualcosa cambia. Legge su alcuni libri che ottenere la Rhodes Scholarships, borsa di studio per meriti accademici, permette di studiare un anno a Oxford. Dopo alcune ricerche scopre che Princeton è l’università che ha avuto il maggior numero di studenti vincitori di quella borsa di studio. In mezzo alla notte sveglia i genitori, gli comunica di voler andare a Princeton e il mattino seguente rifiuta la borsa di studio di Duke.

A Princeton coltiva la passione per la pallacanestro, diventando il miglior giovane giocatore statunitense, ma porta avanti anche letture di politica e letteratura. Al suo allenatore, Van Breda Kolff viene chiesto cosa farà Bill a quarant’anni: «Non lo so, probabilmente il governatore del Missouri». Una previsione leggermente fuori bersaglio, ma comunque azzeccata. La sua tesi di laurea, dal titolo “On That Record I Stand” sulla corsa a senatore dell’ex presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, si rivela ben più premonitrice. Si interessa di Bill anche lo scrittore del New Yorker e futuro vincitore di un premio Pulitzer, John McPhee, che scrive un ritratto di Bradley. Il titolo, “A Sense of Where You Are” (Il senso di sapere dove sei), si riferisce alla spiegazione che Bill dà su come riesca a fare canestro senza guardare il tabellone. I quattro anni in New Jersey si concludono con la laurea con lode, la scelta dei New York Knicks e l’imminente partenza per Oxford.

Anche in Inghilterra, però, il richiamo del parquet è troppo forte. Cesare Rubini e Adolfo Bogoncelli, rispettivamente allenatore e dirigente dell’allora Simmenthal Milano, sono alla ricerca dello straniero da tesserare in vista della Coppa Campioni 1965-66. Contattano Bradley e alla fine riescono a strappargli un contratto part-time: dal martedì mattina al mercoledì sera. Gioca solo cinque partite, tenendo 26 punti di media a partita e contribuendo alla prima vittoria del basket italiano in Europa.

In NBA con i Knicks non ha l’impatto stratosferico avuto al college e in Italia, ritagliandosi un ruolo da titolare e due soprannomi, anch’essi molto azzeccati: “Mr.President” e “The Secretary of State”. Vive momenti difficili all’inizio, criticato dai tifosi e dagli avversari per il contratto che lo rendeva tra i più pagati della NBA. Le malelingue accusano i Knicks di avergli offerto un contratto così remunerativo solo perché bianco, ma la polemica viene smorzata dalle sue buone prestazioni e da due titoli di campioni, nel 1970 e nel 1973, che la città di New York nella sua storia non aveva mai visto. Nel 1977 si ritira dalla pallacanestro e si concentra sulla sua altra grande passione, la politica.

Si candida a senatore del New Jersey per i democratici. L’avversario più temibile, il quattro volte senatore Clifford Case, perde le primarie repubblicane e con il 56% dei voti Bill viene eletto per la prima volta al Senato degli Stati Uniti. Rimarrà in carica per tre mandati consecutivi, fino al 1997. I temi cardine della sua politica nel corso della sua quasi ventennale carriera come senatore sono il supporto accademico e mentale per i bambini, la riforma del sistema fiscale e il rispetto delle minoranze. Nel 1986, insieme a Dick Gephardt, dà un contributo fondamentale per ridurre gli scaglioni in quella che voleva essere una semplificazione sul pagamento delle tasse, mentre nel 1987 si batte perché alcuni territori, ingiustamente revocati alle tribù Sioux dal Presidente Grant, tornino sotto la giurisdizione dei nativi americani.

Il punto più alto della sua carriera politica coincide con le elezioni presidenziali del 2000, dove Bradley concorre per la nomination del Partito Democratico. Le sconfitte in Iowa e in New Hampshire contro l’allora Vicepresidente degli Stati Uniti, Al Gore, affondano la sua candidatura, costringendolo a ritirarsi e a sostenere la candidatura di Gore, sconfitto poi da George Bush a novembre. «Quando viaggiavo sopra il paese durante la campagna elettorale, mi sembrava di stringerlo tutto. Ho avuto la possibilità di provare a risolvere i problemi di 300 milioni di persone. Non è andata così ma è stata l’esperienza più intensa della mia vita»: questo è il ricordo di quell’esperienza in un’intervista rilasciata alla PBS.

Ancora oggi non ha smesso di parlare di politica, evidenziando i limiti del lobbysmo nella vita pubblica americana e delle divisioni che attraversano il paese. Sapendo sempre dove si trova, come sul parquet, quando senza guardare il canestro riusciva lo stesso a segnare.