Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Luglio 8 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Novembre 24 2022
«Il Governo Draghi ha preparato l’ennesimo regalino per i commercianti»

La teoria secondo cui l’obbligo di effettuare pagamenti elettronici tracciabili è solo una scusa dei governi per controllare i cittadini e danneggiare esercenti ed imprenditori

Il 30 giugno scorso è entrato in vigore il decreto legge del 30 aprile 2022 n. 36 (“Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, PNRR”), che ha anticipato l’applicazione degli artt. 15 del decreto legge del 18 ottobre 2012 n. 179 (“Pagamenti elettronici”), e 19-ter del decreto legge del 6 novembre 2021 n. 152 (“Sanzioni per mancata accettazione di pagamenti effettuati con carte di debito e credito”), prevista inizialmente per il 1° gennaio 2023. Imponendo l’obbligo del pagamento elettronico in ogni attività commerciale presente sul territorio italiano, pena una sanzione pecuniaria minima di 30 euro «aumentata del 4% del valore della transazione per la quale sia stata rifiutata l’accettazione del pagamento», il provvedimento ha suscitato non solo malumori tra i commercianti, ma è diventato anche terreno fertile per la diffusione di fake news.

Tra queste, compare il sopracitato articolo pubblicato il 1° luglio scorso dal sito italiano di informazione non ufficiale Byoblu, secondo cui dietro l’obbligo di effettuare transazioni elettroniche si nascondano motivazioni più oscure celate sotto le mentite spoglie della lotta all’evasione fiscale.

Il debunking della notizia

Notizia: OBBLIGO PAGAMENTO ELETTRONICO: SCATTANO LE SANZIONI. PERCHÉ SI VUOLE ELIMINARE IL CONTANTE?

Fonte: Franz Becchi, Byoblu, 1° luglio 2022

“Lotta all’evasione fiscale”? Cosa c’è dietro?

Il cliente potrà chiamare le forze dell’ordine in caso l’esercente dovesse opporsi al pagamento elettronico. In realtà, l’obbligo era già entrato in vigore il 30 giugno del 2014, ma inizialmente non erano previste delle sanzioni per i renitenti. La misura è stata giustificata con il pretesto della lotta all’evasione fiscale, ma dietro sembra celarsi altro. Ovvero, un ulteriore trasferimento di sovranità monetaria che passa dalle tasche dei cittadini in favore delle banche. Oggetto di polemiche sono infatti le commissioni imposte per le transazioni elettroniche, che possono arrivare anche fino al 2%. C’è chi dice che si tratti di poca roba, ma non sono pochi i commercianti che storcono il naso davanti alla somma delle perdite.

L’informazione secondo cui l’ammontare delle commissioni interbancarie sia del 2% è inesatta e fuorviante perché il Regolamento UE 2015/751 (“Commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta”) stabilisce che esse non possano superare il limite massimo fissato allo 0,2% del valore medio annuo di tutte le operazioni nazionali effettuate con carta di debito o prepagata e allo 0,3% per le transazioni con carta di credito.  

Il caso dell’antico caffè a Genova che si oppone

A metà giugno, Byoblu si è recato a Genova per intervistare il proprietario dell’antico caffè e pasticceria, Mangini, Giacomo Rossignotti. Il gestore ha deciso di accettare soltanto pagamenti in contanti, esponendo le sue critiche su un cartellone affisso di fianco alla cassa. “L’obbligo può avvenire nel momento in cui la carta di credito diventa come la carta moneta contante”, ha spiegato Rossignotti. Se un imprenditore viene costretto ad accettare una forma di pagamento, non dovrebbe infatti pagare commissioni extra. In Italia, ogni attività commerciale, artigianale e professionale deve mettere in conto oltre 400 euro all’anno per avere il POS. Soldi che confluiscono poi nelle banche. Nel Belpaese si stimano circa 20 milioni di transazioni al giorno che, agli attuali costi, renderebbero circa 3 miliardi di euro all’anno alle banche.

Anche questa informazione è falsa, secondo il Report della Banca d’Italia pubblicato nel marzo 2020 (“Tematiche istituzionali. Il costo sociale degli strumenti di pagamento in Italia”), che mette a confronto il costo privato proveniente dall’utilizzo del contante e delle carte (di debito e di credito) sostenuto da imprese ed esercenti. Infatti, nell’arco temporale tra il 2009 e il 2016, è emerso che, se nel breve periodo il costo del contante si era rivelato più basso per i commercianti rispetto a quello derivante dall’utilizzo delle carte (rispettivamente €0,18 per ogni operazione commerciale effettuata con moneta contante e €0,96 per ogni operazione con carta), nel lungo periodo il costo delle transazioni bancarie elettroniche era diminuito di 50 centesimi di euro (€0,46 per ogni pagamento effettuato con carta di debito/credito), mentre quello delle transazioni con denaro contante era aumentato a €0,19.

Ne consegue che, secondo le previsioni della Banca d’Italia, in futuro il costo delle transazioni elettroniche è destinato a diventare più vantaggioso e sicuro per tutti. Al contrario, l’uso del contante sarà sempre più oneroso non solo per gli elevati costi di produzione e di circolazione all’interno del circuito economico, ma soprattutto a causa dei rischi connessi al suo utilizzo come furto o rapina, smarrimento, riciclaggio e finanziamento del terrorismo.

In questo senso, il legislatore europeo è intervenuto per tutelare i risparmi dei consumatori e, allo stesso tempo, garantire una circolazione tracciata e trasparente del denaro grazie alle disposizioni contenute nella Direttiva UE 2015/849 (“Prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo”), ad esempio rendendo obbligatoria l’identificazione dei soggetti titolari di carte di debito, credito o prepagate sancita dagli artt. 11 e 13 (“Verifica della clientela”) della stessa. 

Perché si vuole eliminare il contante?

E la misura potrebbe inoltre avere gravi conseguenze sociali, in un contesto distopico, ma che ormai si avvicina sempre di più alla realtà. Una volta eliminato il contante, i Governanti avrebbero pieni poteri sul patrimonio dei cittadini. Oltre al controllo degli acquisti dei cittadini, si potrebbero congelare i fondi di coloro che, ad esempio protestano. Lo ha già fatto il primo ministro canadese Justin Trudeau con i camionisti che protestavano contro la gestione dell’emergenza sanitaria. È quindi folle pensare a un Green Pass collegato al conto bancario del cittadino e che, in base al suo comportamento, può portare al congelamento dei soldi da lui guadagnati?

Per il Governo è impossibile (oltre che antidemocratico) mettere le mani sui conti corrente dei consumatori per via delle disposizioni contenute nella Direttiva UE 2015/2366 (“Servizi di pagamento nel mercato interno”) che, oltre a garantire transazioni elettroniche sicure e finalizzate a ridurre al massimo il rischio di frode, fanno un chiaro riferimento anche ai princìpi contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE firmata a Nizza il 7 dicembre 2000. Nello specifico, il punto 90 della Direttiva stabilisce che «la presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i princìpi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, incluso il diritto al rispetto della vita privata e familiare, il diritto alla protezione dei dati personali, la libertà d’impresa, il diritto a un ricorso effettivo e il diritto di non essere giudicati o puniti due volte per lo stesso reato. La presente direttiva deve essere applicata conformemente a tali diritti e princìpi», anticipando il contenuto dell’art. 94 che regola la protezione dei dati dei soggetti titolari delle carte di debito o credito.

Leggi anche: Il complotto delle élites 

Zeta, sito di informazione della Scuola Superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” – Luiss Guido Carli è un supplemento di Reporter Nuovo, testata giornalistica legalmente registrata presso il Tribunale di Roma (Reg. Tribunale di Roma n. 13/08 del 21 gennaio 2008), al cui interno è stata istituita un’unità Zeta Check con lo scopo di verificare i fatti, che pubblicherà regolarmente rapporti sull’accuratezza fattuale delle dichiarazioni di personaggi pubblici e istituzioni e affermazioni ampiamente diffuse in formato testo, visivo e di altro tipo, incentrate principalmente su dichiarazioni relative a questioni di interesse pubblico.
Il suo lavoro editoriale non è controllato dallo Stato, da un partito politico o da una figura politica. La testata non è destinataria di finanziamenti da fonti statali o politiche per svolgere giornalismo di servizio pubblico.