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Esclusiva

Agosto 16 2022
Non sono i vaccini la causa delle reinfezioni da variante Omicron

Secondo il sito eVentiavversinews, una ricerca pubblicata su Science dimostrerebbe che le vaccinazioni stanno contribuendo a diffondere nuove infezioni dell’ultima mutazione del virus

Notizia: Un recente studio dimostra che le dosi booster contro il Covid 19 favoriscono il contagio da variante Omicron  

Fonte: Uno studio peer-reviewed scaricato 279.000 volte, mostra che I VACCINI AIUTANO LA DIFFUSIONE DI OMICRON (Imprinting immunitario) su eventiavversinews.it il 7 agosto 2022 

«Ciò che suggerisce questo studio, su cui molti clinici e ricercatori hanno espresso preoccupazione, è che i vaccini mRNA COVID-19 e le dosi di richiamo potrebbero rendere la nostra risposta immunitaria meno efficace contro la variante Omicron del virus». È la lettura che il sito eventiavversinews.it dà di uno studio recentemente pubblicato su Science, che dimostrerebbe, secondo l’interpretazione dell’anonimo autore dell’articolo, che «il vaccino stesso sta portando a un’infezione diffusa invece di fermare il virus». I risultati della ricerca evidenzierebbero che, dopo la prima dose, i richiami di vaccini mRNA «iniziano ad abituare o desensibilizzare i soggetti alle proteine COVID-19, migrando la loro risposta immunitaria fino a essere dominata dalla forma IgG4, che essenzialmente insegna al corpo a tollerare le proteine», tanto da disattivare la risposta al virus e «rendendoli [i corpi] ancora più vulnerabili all’infezione e meno propensi a dare una risposta ad essa rispetto a coloro che non sono mai stati vaccinati.» 

Debunking

L’autore dell’articolo di eVentiavversi fa uso di uno studio pubblicato recentemente su Science per tentare di dimostrare che «il programma di vaccinazione e richiami ha finito per avere l’effetto l’opposto rispetto a ciò che doveva fare: impedire alle persone di ammalarsi». Se la premessa dell’articolo, secondo cui i paesi a più alto tasso di vaccinazione stanno manifestando numerosi tassi di reinfezioni, è vera, tuttavia in nessuna parte della ricerca presa in esame viene dimostrato che sono i vaccini ad esserne la causa.  

Prima di tutto occorre precisare che Science è, insieme a Nature, una delle più autorevoli riviste di ambito scientifico. Immune boosting by B.1.1.529 (Omicron) depends on previous SARS-CoV-2 exposure è solo uno degli studi che riguardano il rapporto tra immunità e virus Sars-CoV-2 di cui la comunità scientifica si sta occupando: basti dare uno sguardo alla sezione Covid 19 appositamente presente sul sito di Science, che raccoglie tutte le pubblicazioni relative al Coronavirus e che rende manifesta la cadenza settimanale di queste notizie. Contrariamente a quanto vorrebbe far credere eVentiavversi, non è «insolito per uno studio scientifico altamente tecnico e densamente formulato» il fatto che sia «stato scaricato quasi di 279.000 volte in meno di due mesi»: uno sguardo ai dati di download degli altri articoli sul Covid testimoniano tutti una quantità di lettura che va dai 100 mila ai 200 mila e oltre.

Cominciando ad andare nello specifico dello studio preso in esame, Immune boosting by B.1.1.529 (Omicron) depends on previous SARS-CoV-2 exposure è stato pubblicato il 14 giugno 2022 e si è occupato di studiare la reazione immunitaria in differenti soggetti (operatori sanitari) vaccinati contro il Covid 19 che avessero contratto varianti precedenti alla Omicron: attraverso l’analisi dei linfociti T e B, i responsabili della risposa immunitaria e dello sviluppo della memoria immunologica, gli scienziati hanno evidenziato che un diverso background di infezioni e vaccinazioni contribuisce allo sviluppo di diverse reazioni immunitarie alle varianti.

Cosa è l’hybrid immune damping

In particolare, il nucleo della ricerca è stata la scoperta di un particolare tipo di risposta in soggetti che hanno contratto le prime varianti Wuhan 1 e Alpha e sono stati poi sottoposti a vaccinazione completa, in cui l’analisi delle quantità di linfociti T e B dimostra una minore efficacia nei confronti di Omicron rispetto alle altre varianti. Nelle conclusioni della ricerca infatti si legge: «l’effetto dei booster dei vaccini si traduce in modelli distinti di immunità ibrida con diverse combinazioni di infezione da SARS-CoV-2 e vaccinazione. La protezione immunitaria è potenziata dall’infezione di B.1.1.529 (Omicron) negli individui sottoposti a tripla vaccinazione non soggetti a infezioni precedenti, ma questo potenziamento viene perso con l’imprinting precedente della variante Wuhan Hu-». Ciò ha portato gli scienziati a definire questo nuovo tipo di risposta immunitaria come hybrid immune damping: è proprio questa mutazione dell’imprinting immunitario che, secondo lo studio, «può essere il motivo per cui l’onda B.1.1.529 (Omicron) è stata caratterizzata da una infezione rivoluzionaria e da una frequente reinfezione con protezione relativamente conservata contro malattie gravi individui a triplo vaccinazione»  

La protezione contro Omicron non è dunque neutralizzata, dal momento che il vaccino conserva la sua funzione abbattendo i pericoli di decorso grave della malattia e mortalità: ma queste informazioni sono omesse nell’articolo di eVentiavversi. In tutto lo studio non vi è nessun riferimento al fatto che «una maggiore assunzione di vaccini porta a tassi di infezione più elevati», come titola uno dei paragrafi del sito. È invece la «scarsa immunogenicità della variante Omicron contro sé stessa» la probabile causa dell’alto tasso di sua diffusione: «questa [immunogenicità relativamente scarsa contro sé stessa] può aiutare a spiegare perché le frequenti reinfezioni da B.1.1.529 (Omicron) con brevi intervalli di tempo tra le infezioni si stanno rivelando una nuova caratteristica in questa ondata». E sempre per questo motivo gli scienziati escludono che un nuovo vaccino a mRNA costruito su base della variante Omicron possa offrire «alcun vantaggio protettivo».

Non sono i vaccini la causa delle reinfezioni da variante Omicron
Lo schema che riporta il documento Immune boosting by B.1.1.529 (Omicron) depends on previous SARS-CoV-2 exposure, che sintetizza in A, B e C le tre differenti reazioni immunitarie riscontrate nei soggetti esaminati.

L’immunità naturale

Né menzioni, nel corso delle quattordici pagine di ricerca, si fanno sul fatto che «dosi aggiuntive di vaccini mRNA iniziano ad abituare o desensibilizzare i soggetti alle proteine COVID-19». Peraltro, contorto è il passaggio di eVentiavversi sull’immunoglobina IgG4, in cui viene inserito l’esempio degli apicoltori che «quando vengono ripetutamente punti dalle api nel corso della loro carriera attivano una risposta IgG4 all’assalto al loro sistema immunitario. Fondamentalmente, i loro corpi imparano che il veleno d’api non è pericoloso e la loro risposta immunitaria al veleno d’api diventa una risposta IgG4, quindi sono in grado di tollerare molto bene le punture». Qui l’autore si riferisce alla cosiddetta immunoterapia o iposensibilizzazione specifica, una pratica immunologica attraverso la quale l’organismo viene abituato alla sostanza tossica in modo progressivo e continuo in modo tale da ridurne la reazione allergica. Ma questo trattamento è ben diverso da un vaccino, e come si legge sul sito della Fondazione Umberto Veronesi, «le allergie per cui l’immunoterapia risulta possibile sono quelle causate dai  pollini, dalle muffe, dal pelo di gatto e di cane e dal veleno di api e vespe».

L’autore di eVentiavversi si serve di questo esempio per dimostrare che è possibile sviluppare un’immunità permanente grazie alla sola risposta naturale all’infezione da Covid 19: «questo è il motivo per cui quando si è naturalmente esposti a molte malattie, si sviluppa un’immunità permanente». Non c’è, tuttavia, alcuna prova che l’immunità acquisita naturalmente sia più forte dell’immunità acquisita con il vaccino, come continua l’autore di eVentiavversi, secondo cui non «è il virus in sé che sta uccidendo le persone: è l’interazione del virus con il sistema immunitario danneggiato dei pazienti a causare infezioni gravi e talvolta letali, poiché il sistema immunitario reagisce in modo eccessivo a un nuovo virus». Nulla di tutto questo è supportato da prove. Al contrario, tutti i più recenti studi sono ben lontani dal parlare di immunità permanente, soprattutto se naturale, dimostrando che la memoria immunologia varia dagli otto mesi ai due anni.

L’immuglobina di classe quattro

Ancora più fuorviante è la citazione di un ulteriore studio, ad opera di un gruppo di scienziati tedeschi, pubblicato su medRix, una piattaforma di pubblicazioni scientifiche ancora non sottoposte a revisione, che, sempre secondo eVentiavversi, «ha confermato in modo indipendente che le successive iniezioni e booster di COVID-19 stanno convertendo la risposta immunitaria dalla classe protettiva della risposta IgG alla classe di tolleranza». La ricerca (che non si capisce su quali basi dovrebbe essere considerata indipendente) non fa alcuna menzione di ciò, limitandosi invece a verificare una crescita delle immuglobine di classe quarta a partire dalla seconda immunizzazione. Scrivono gli autori nelle conclusioni dello studio: «I vaccini mRNA hanno dimostrato un’enorme immunogenicità ed efficacia hanno salvato milioni di vite durante questa pandemia. […] Tuttavia, come effetto collaterale, questa risposta immunitaria può anche comportare una CSR continua verso isotipi IgG non infiammatori, che sono in grado di minare alcune funzioni effettrici mediate da Fc. I nostri risultati su un’insolita risposta anticorpale IgG4 antivirale indotta dal vaccino mRNA che appare in ritardo dopo l’immunizzazione secondaria richiedono chiaramente ulteriori indagini. A parte un ulteriore chiarimento dei precisi meccanismi immunologici sottostanti che guidano questa risposta, deve essere valutato come una risposta anticorpale guidata da IgG4 influenzi le successive infezioni virali e le vaccinazioni di richiamo. Ciò non è rilevante solo per potenziali future campagne di vaccini contro SARS-CoV-2, ma anche per nuovi sviluppi di vaccini basati su mRNA contro altri agenti patogeni»

Non è, dunque, dimostrato in nessuna parte dei due studi «che i vaccini potrebbero aver contribuito a desensibilizzare la popolazione alle risposte immunitarie infiammatorie dannose a COVID-19».

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